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libro sesto - capitolo vii |
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giorno l’ardire delli prelati a dire cose nove, sediziose, senza
rispetto, che si doveva chiamar non libertá ma troppa licenza;
e li teologi ancora con la longhezza del dire occupano troppo
il tempo, contrastando tra loro di niente e passando spesso
alle impertinenze; che seguendo cosí non si vederá mai il fine
del concilio; e oltra ciò esservi pericolo che il disordine
s’aumenti e produca qualche sinistro effetto. Giovan Battista
Castello, promotore, che aveva esercitato l’istesso ufficio nella
precedente riduzione sotto Giulio, raccordò che il Cardinal
Crescenzio soleva, quando li prelati uscivano delle materie
proposte, senza rispetto interromperli, e troncar anco il filo
del ragionamento, e alli troppo prolissi farglielo abbreviare,
e alcune volte imporli anco silenzio; che una o due volte cosí
facendo anco al presente, s’abbreviarebbe li affari del concilio
e si leverebbe le occasioni di ragionamenti impertinenti. Al
cardinale varmiense non piacque questo raccordo: disse che
se Crescenzio si governava in quella guisa, non è maraviglia
se la Maestá divina non abbia dato buon progresso a quel
concilio; che nissuna cosa è piú necessaria ad una sinodo
cristiana che la libertá; e leggendo li concili delli migliori
tempi si vedono nelli principi di essi contenzioni e discordie,
eziandio in presenza dell’imperatori potentissimi in quei tempi,
le quali per opera dello Spirito santo in fine tornavano in concordia mirabile: e quello era il miracolo che faceva acquetar
il mondo. Eccessive esser state le contenzioni nel niceno concilio, e nell’efesino esorbitantissime; non esser maraviglia che
al presente vi siano qualche dispareri maneggiati con modi
civili. Chi vorrá per mezzi umani e violenti ovviarli, fará che
il mondo, stimando il concilio non libero, li perderá il credito.
Esser bene rimetter a Dio, che vuole esso regere li concili e
moderar li animi delli congregati in nome suo. Il Cardinal di
Mantoa approvò il parer di varmiense e biasmò l’instituto di
Crescenzio, soggiongendo che però non era contrario alla
libertá del concilio con decreti moderar li abusi, con prescrivere
l’ordine del parlare e il tempo, distribuendo a ciascuno la
parte sua. Questo fu anco dal varmiense lodato, e restarono
che, fatta la sessione, si darebbe ordine a questo.