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libro sesto - capitolo iv | 377 |
vescovo non potessero esser impediti, ottenevano facoltá dal
papa con littere che li raccomandassero, le quali facilmente
erano concesse per qualche parte dell’emolumento che nell’espedizione della bolla alla corte toccava. Questa instituzione
immediate si voltò in eccessi di abuso, imperocché delle raccolte
elemosine minima parte era quella che si spendesse in l’opera.
Quelli ancora che impetrato avevano la facoltá di questuare, sustituivano persone abiette e infami, e con loro dividevano il
frutto delle limosine, anzi affittandoli anco la questura. Li
questuanti poi, per cavar quanto piú si poteva, mille artifici
sacrileghi ed impii usavano, portando forme d’abiti, fuochi,
acque, campane e altri instrumenti da strepitare, che potessero
indur spavento e superstizione nel volgo, narrando falsi miracoli, predicando false indulgenze, richiedendo le limosine con
imprecazioni e minaccie di male e infortuni a chi non le
dasse; e altre tal impietá usando, che il mondo ne era pieno
de scandoli: né si poteva provvedervi, attese le concessioni
apostoliche impetrate. Sopra questa materia si estesero li prelati,
con narrare li abusi e descendere alle suddette e innumerabili
altre impietá; con mostrare che altre volte sono stati tentati
rimedi senza frutto, e tali riuscirebbono tutti quelli che si
tentassero: uno solo esservi: l’abolire il nome e l’uso de’ questori. E in questo parere convennero quasi tutti.
Arrivarono in questo tempo ambasciatori del duca di Baviera, quali ricusarono presentarsi nella congregazione se non gli era data precedenza da quei di Vinezia; il che ricusando essi di fare, li legati interposero dilazione per aspettar sopra questo risposta da Roma.
Il pontefice, quando ebbe avviso delli voti nelle congregazioni dati sopra la residenza, e avvertí li spagnoli esser tutti conformi, fece cattivo pronostico, penetrando che tal unione non poteva esser senza participazione del re. Diceva esser, giá molto tempo, per grandi esperienze certificato che li prelati oltramontani sono inimici della grandezza d’Italia e della sede apostolica; e per la suspizione che del re aveva, restava mal sodisfatto, come che gli mancasse della promessa fattagli