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libro quinto - capitolo iii 229


piaciuto, allegando che gli elettori hanno facoltá concessagli per grazia pontificia di elegger imperatore in luoco del defonto, ma non esserli comunicata potestá di eleggerlo in caso di resignazione, ma restare nell’arbitrio della sede apostolica, si come alla disposizione di quella sono affette tutte le dignitá a quella risegnate. Per il che esser nulla la resignazione di Carlo, e la total autoritá di provveder d’imperatore esser devoluta a lui; e fu risoluto di non riconoscer il re de’ romani per imperatore.

Ma Ferdinando, se ben conscio di ciò, destinò Martino Gusmano suo ambasciatore per darli conto della rinoncia del fratello e dell’assonzione sua, per testificarli la riverenza, promettendoli obedienza, e significandoli che averebbe mandato ambasciaria solenne per trattar la coronazione. Il papa ricusò d’ascoltarlo, e rimesse alli cardinali di discutere la materia: li quali, cosí volendo e disponendo lui, riferirono che l’ambasciatore non si poteva ammettere se prima non constava che la resignazione di Carlo fosse legittima e che Ferdinando fosse giuridicamente successo; perché se ben egli fu eletto re de’ romani, e l’elezione confermata da Clemente per succedere morto l’imperatore, esser necessario che l’imperio restasse vacante per morte. Oltre di ciò tutti li atti di Francfort esser nulli, come fatti da eretici che hanno perduto ogni autoritá e potestá; onde bisognava che Ferdinando mandasse un procuratore e rinonciasse tutte le cose fatte in quella dieta, e supplicasse il papa che per grazia convalidasse la rinoncia di Carlo e assumesse Ferdinando all’Imperio per virtú della sua piena potestá, dal quale poteva sperar benigna grazia paternale. Secondo questo conseglio deliberò il papa e fece intender al Gusmano, dandoli tempo tre mesi per eseguir questo; oltra li quali era risoluto non voler sentirne piú parlare, ma dover crear esso un imperatore. Né fu possibile rimoverlo, se ben il re Filippo, per favorir il zio, mandò Francesco Vargas espresso, e dopo lui Gioanni Figaroa per pregarlo. Ferdinando, intese queste cose, ordinò al Gusmano che se in termine di tre giorni dalla ricevuta non era ammesso dal papa, dovesse partire, avendo