Pagina:Sarpi, Paolo – Istoria del Concilio tridentino, Vol. II, 1935 – BEIC 1916917.djvu/177


libro quarto - capitolo vi 171


revisione delle cose decise, ma tuttavia quella co’ fatti gli era levata, perché contuttociò si camminava inanzi a nuove decisioni, mentre che li suoi erano aspettati, gli ambasciatori imperiali non potêro ottenere dai presidenti che si fermassero le azioni, le quali essi affrettavano con ogni sollecitudine, a fine che o vero li protestanti restassero d’andar a Trento, o vero andando ritrovassero tutto deciso; ché quanto alla dimanda di riesaminar le cose, erano giá risoluti il papa, tutta la corte e tutti li prelati di negarla constantemente. Pensavano anco che piú apparentemente si negarebbe la revisione di molte cose che di poche. Ma l’imperatore, alli fini del quale molto importava di ridur li protestanti in Trento, e niente gli toccava il riesaminar o no, avvisato dagli ambasciatori delle querele de’ protestanti e dell’impedimento che si opponeva alla loro andata al concilio, mandò persona a Trento con commissione di passar anco a Roma, per far ufficio che si differisse ogni azione per pochi giorni, mostrando che quella fretta precipitava le materie, rendeva sospetto a’ protestanti e difficoltava la reduzione loro; e ordinò che alli suoi fosse comandato di fermare le trattazioni, e alli pontifici, quando le persuasioni non giovassero, si passasse alle protestazioni. Questa risoluzione dell’imperatore, significata in Trento, fu causa che si fece una congregazione generale; e proposta questa considerazione, fu deliberato soprasseder da ogni azione conciliare, a beneplacito però della sinodo.

Ma il pontefice sentí dispiacere di quello che si era fatto; e sdegnato con l’imperatore anco per altri rispetti, scrisse a Trento che, continuando a tenere sospese le azioni quanto manco giorni potessero, per reputazione della sinodo riassumessero le azioni senza rispetto.

La causa che oltra questa aveva irritato il papa e li cardinali fu perché, desiderando Ferdinando occupare la Transilvania, che dall’altra parte era da’ turchi assalita, sotto pretesto di mantenerla per il picciolo figlio di Gioanni voivoda, Giorgio Martinuccio vescovo di Varadino, uomo di eccellente prudenza e di gran credito in quella regione, desiderava conservarla in