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libro primo - capitolo ii | 33 |
udita e le sue promesse fossero stimate reali, inanzi che trattare cosa alcuna con essi loro, pensava necessario dar saggio
con principio di reforma, levando li abusi stati causa delle
dissensioni. A questo effetto chiamò a Roma Giovanni Pietro
Caraffa, arcivescovo di Chieti, e Marcello Cazele gaetano,
uomini stimati di bontá e costumi irreprensibili, e molto periti delle cose spettanti alla vera disciplina ecclesiastica, acciò
col conseglio loro e delli cardinali piú suoi confidenti trovasse
qualche medicina alle piú importanti corruttele, tra’ quali prima
si rappresentava la prodigalitá delle indulgenze, per aver ella
aperta la via al credito acquistato da’ novi predicatori in
Germania.
Il pontefice, come teologo che giá aveva scritto in questa materia prima che mai Lutero pensasse di trattarla, era in parere di stabilire per decreto apostolico e come papa quella dottrina che come privato aveva insegnata e scritta; cioè, che concessa indulgenzia a chi fará una tal pia opera, è possibile assai che da alcuno l’opera sia eseguita in tanta perfezione che quello conseguisca l’indulgenzia: se però l’opera manca di quella esattezza, l’operante non ottiene indulgenzia tutta, ma solo tanta parte a proporzione che corrisponda all’opera imperfetta. Riputava il pontefice che in questa maniera non solo fosse provveduto per l’avvenire ad ogni scandolo, ma anco rimediato alli passati; poiché potendo ogni minima opera essere cosí bene qualificata di circostanze che meriti ogni gran premio, restava resoluta l’obiezione fatta da Lutero, come per l’oblazione d’un danaro fosse conseguito tanto tesoro; e poiché per defetto dell’opera chi non guadagna tutta l’indulgenzia ne ottiene però una parte proporzionale, non si ritraevano fedeli dal cercare l’indulgenze.
Ma frate Tommaso da Gaeta cardinale di San Sisto, teologo consumato, lo dissuadeva, dicendogli che ciò era un pubblicar quella veritá, la quale per salute delle anime era meglio ritenere solo appresso gli uomini dotti, e piú tosto come
disputabile che come decisa. Per il che anco esso, qual vivamente in conscienzia la sentiva, nello scrivere però l’aveva
Sarpi, Istoria del Concilio Tridentino - i | 3 |