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libro secondo - capitolo iv 277


inerendo nella propria, da quella mostrava restar deciso esser eretico il primo articolo, il qual senza dubbio fu anco per tale dannato nel concilio di Palestina, e in molti africani contra Pelagio; e reesaminato a Trento, non come ritrovato nelli scritti di Lutero o suoi seguaci, ma come asserito da Zuinglio. Il qual però ad alcuni delli teologi che discussero bene le sue parole pareva piuttosto che sentisse non essere nella posteritá d’Adamo peccato del genere di azione, ma corruzione e trasformazione della natura, che egli diceva peccato nel genere della sostanza.

L’articolo secondo fu stimato da tutti eretico. Fu giá inventato dall’istesso Pelagio, il quale per non esser condannato nel concilio di Palestina, per aver detto che Adam non aveva nociuto alla posteritá, si retrattò confessando il contrario; e dopo con li suoi dechiarò che Adamo aveva dannificato i posteri, non transferendo in loro peccato, ma dando cattivo esempio che nuoce a chi l’imita. Ed era notato Erasmo dell’aver rinnovato l’istessa asserzione, interpretando il luoco di san Paulo che il peccato fosse entrato nel mondo per Adamo e passato in tutti, in quanto gli altri hanno imitato e imitano la transgressione di quello.

Il terzo articolo, quanto alla prima parte fu censurato in Trento, come anco in Germania in molti colloqui, con dire che quelle azioni non possono esser il peccato originale, poiché non sono nelli putti né meno negli adulti in ogni tempo; onde il dire che altro peccato non vi fosse salvo quello, era un negarlo affatto, e non sodisfare l’iscusazione allegata da loro in Germania, che sotto nome delle azioni intendono un’inclinazione della natura alle cattive e una inabilitá alle buone; perché se cosí intendevano conveniva dirlo, e non parlar male, volendo che altri intendesse bene. E quantonque sant’Agostino abbia parlato in simil maniera, quando disse che la giustizia originale era ubidir a Dio e non aver concupiscenza, se egli fosse in questi tempi non parlerebbe cosí. Perché è ben lecito nominare la causa per l’effetto e questo per quella, quando sono propri e adequati; ma non è cosí in questo caso, imperocché