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122 l'istoria del concilio tridentino


dannazione. Aggionse che questo era il piú universale difetto de’ romani: voler stabilire la Chiesa con governi tratti da ragioni umane, come se fosse uno stato temporale. Che questa era quella sorte di sapienzia che san Paulo dice essere riputata pazzia appresso Dio; sí come il non stimare quelle ragioni politiche con che Roma governa, ma fidarsi nelle promesse divine e rimettere alla Maestá sua la condutta degli affari della Chiesa, è quella pazzia umana che è sapienzia divina. Il far riuscir in bene e profitto della Chiesa il concilio non essere in potestá di Martino, ma di chi lo può lasciare libero, acciò che lo spirito di Dio vi preseda e lo guidi, e la Scrittura divina sia regola delle deliberazioni, cessando di portarvi interessi, usurpazioni e artifici umani: il che quando avvenisse, egli ancora vi apporterebbe ogni sinceritá e caritá cristiana, non per obbligarsi né il pontefice né altri, ma per servizio di Cristo, pace e libertá della Chiesa. Non poter però aver speranza di veder un tanto bene, mentre non apparisce che lo sdegno di Dio sia pacificato per una seria conversione e deposizione dell’ipocrisia; né potersi fare fondamento sopra la radunanza di uomini dotti e litterati, poiché, essendo accesa l’ira di Dio, non vi è errore cosí assurdo ed irragionevole che Satan non persuada, e piú a questi gran savi che si tengono sapere, li quali la Maestá divina vuole confondere. Che da Roma non può ricevere cosa alcuna compatibile col ministerio dell’Evangelio; né moverlo li esempi di Enea Silvio o di Bessarione, perché non stima quei splendori tenebrosi; e quando volesse anco esaltare se stesso, potrebbe con veritá replicare quello che da Erasmo fu detto facetamente, che Lutero povero ed abietto arricchisce e inalza molti. Esser molto ben noto ad esso noncio, per non andare lontano, che al maggio prossimo egli ha avuto gran parte nella creazione di Roffense ed è stato causa totale di quella di Scomberg. Che se poi al primo è stata levata la vita cosí tosto, questo è d’ascrivere alla divina provvidenza.

Non potè il Vergerio indurre Lutero a rimetter niente della sua fermezza, il quale con tanta constanza teneva la sua dot-