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monti e tognetti 87

mala pena poteva reggere l’ago, e troppo spesso il pianto le faceva velo agli occhi, ed il dolore le toglieva ogni senso di vita.

Allora la brava Teresa moltiplicava le sue forze, i suoi pensieri; assisteva la desolata, acquietava i bimbi, provvedeva il vitto, e trovava tempo da lavorare per tutti.

Quando Lucia riacquistò un poco di vigore, ricominciò le sue gite. Si recava al cancello delle Carceri Nove supplicando quei cerberi che le lasciassero almeno vedere in lontananza il marito, per assicurarsi ch’esso era in vita; correva di porta in porta dai giudici per impetrare la salvezza del prigioniero, e ritornava sempre più sconsolata.

Un giorno le fu indicato il palazzo di monsignor Pagni, siccome quello d’uno dei membri più potenti della Sacra Consulta, del supremo tribunale, dal quale dipendeva la causa di suo marito. Ed essa, poveretta, salì anche quelle scale, e chiese di monsignore.

Dapprima le fu negato l’ingresso, ma insistè e pianse tanto, che il suo nome fu annunziato al prelato. Subito dopo essa fu introdotta nel salotto elegante, dove monsignore dava udienza ai supplicanti, insultando quasi col suo fasto alla loro miseria.

Monsignor Pagni, vestito colla consueta ricercatezza, in sottana di seta paonazza, stava seduto, in atto di molle riposo, sopra un soffice seggiolone; nè all’aprirsi della porta si volse a guardare chi entrasse. La povera Lucia si avanzò trepidando, e non osava guardare in volto il prelato. Poi si fermò, e rimase in umile atteggiamento, aspettando di essere interrogata ma egli noncurante, non la guardava nemmeno.

Essa allora si accinse a parlare, e alzò gli occhi da terra. Lo vide, appena che riconobbe il prelato, non ostante le mutate vesti e il tempo trascorso. Rabbrividì; avrebbe voluto fuggire, ma il pensiero del marito, la cui vita pendeva forse dalla volontà di quell’uomo, l’arrestò. Si provò di parlare, ma la sua lingua incollata al palato non poteva articolare un accento.

Lucia stava immobile, quasi istupidita: monsignore si degnò finalmente di volgere il capo dalla sua parte; la guardò, la squadrò dalla testa ai piedi, poi disse in tuono di benigna clemenza:

— Che volete, buona donna?

Ella si sforzò allora di pronunciare qualche parola, e riuscì a stento a balbettare:

— Mio marito... si trova... in prigione....

— Chi siete voi? chiese il prelato, mirandola cogli occhi socchiusi come fanno i miopi.

— La moglie... di Giuseppe Monti.

— Ahimè! fece monsignore con una smorfia; mi dispiace per voi, poera donna, ma non so mica come vostro marito potrà cavarsela. Uhm!