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72 i processi di roma


— Non posso dirlo.

— Ve ne prego; voi siete un buon uomo. Ditemi solo se mia moglie viene qualche volta.

— Viene ogni giorno! gridò Petronio, che non poteva più trattenere le lagrime.

― Birbante! gridò subito dopo una voce tuonante.

Era quella del giudice Marini, che nello stesso momento diede un forte colpo sulla spalla del disgraziato Petronio.

Non può descriversi la confusione del secondino. Tutto tremante, si cavò dal capo la berretta, gli cadde di mano la pipa, e balbettò:

— Sì...signor... giu...giudice!... Eccellenza!...

— A questo modo fai il tuo dovere? esclamò Marini tutto infuriato. Stai a far conversazione coi carcerati; e di più dici loro quello che non devono sapere! Penserò io a farti castigare! Ti farò cacciare in cella oscura, a digiuno rigoroso.

― Signor giu... giudice!

— Meriteresti di starci un pajo di mesi.

— Signor...

— Animo! prepara la stanza degli esami; portavi i lumi e tutto l’occorrente.

Petronio non se lo fece dire due volte, e corse ad approntare una stanza attigua a quel camerone, la quale serviva ad uso di cancelleria criminale per l’interrogatorio dei detenuti.

Marini si volse al suo cancelliere Passerini, ch’era rimasto rispettosamente indietro.

— Questa sera, disse, voglio assumere i costituti di Curzio Ventura, di Giuseppe Monti e di Gaetano Tognetti. Imparate, signor cancelliere, imparate l’arte del criminalista! Noi dobbiamo far tesoro delle ore notturne. Questi sono i momenti più propizi per esaminare i detenuti. Essi vengono svegliati dal sonno e subito tratti innanzi al giudice; si presentano all’esame tutti sbalorditi e confusi. Non hanno tempo di architettare un sistema di difesa, di preparare le loro risposte, e vengono a cadere nella rete da loro medesimi siccome uccelletti inesperti. Alla notte, signor cancelliere, sempre alla notte!

Petronio venne a dire che la camera degli esami era preparata. Il giudice e il cancelliere vi entrarono.

Era una stanza che metteva i brividi solo a vederla. Le muraglie erano quelle nude e annerite della prigione. Un gran tavolo coperto da un tappeto nero occupava quasi per intero lo spazio: un enorme crocifisso appeso alla parete pareva che guardasse fieramente gl’infelici che venivano tradotti là dentro; quattro candele infisse nei candellieri di legno erano disposte in quadrato, come se fossero state intorno a una bara. Da un lato stava uno