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70 | i processi di roma |
E qui il buon Petronio, dopo essersi ben bene impinzato il naso di rapè, ed avere sgombrata la testa con una scarica continuata di starnuti, si abbandonò al corso delle sue consuete meditazioni.
— Brutta vita! ripeteva fra sè. Sempre in mezzo alle miserie, sempre chiusi in questa spelonca come tanti gufi! E poi non potere neanche dormire alla notte. Almeno i carcerati riposano a loro bell’agio!
In quel momento, quasi a smentire l’assertiva del carceriere, un lungo, penoso gemito uscì da una segreta vicina, la cui porta si apriva appunto in quel camerone, dov’era Petronio.
— Chi è? cos’è stato? esclamò egli. Sarà questo qua che ogni tanto si lamenta.
Petronio si alzò dalla sedia, e si avvicinò alla porta, donde pareva che il gemito fosse uscito. Quella porta aveva un finestrino che poteva aprirsi dal di fuori per spiare nell’interno della segreta. Egli tirò il catenaccio, e aperto il finestrino, guardò dentro.
La luce di un fanale appeso alla volta di quel lugubre camerone, mandava per il pertugio aperto da Petronio raggio bastante per discernere dentro la segreta la figura di un uomo, che stava rovesciato sul suo coviglio, colle mani intrecciate sopra la testa, in atto di disperato dolore.
Petronio si fermò a contemplare quel misero, e intanto pensava fra sè:
— L’ho detto io. Era lui che mandava quel lamento. Sempre così questo povero Monti! Ah! è proprio vero! egli riposa meno ancora di me.
Poi il dabben uomo richiuse il finestrino, e passò dall’altra parte del camerone, dove aprì un simile sportello, e guardò dentro a un’altra segreta. Era quella di Curzio.
— Quest’altro invece se la dorme in pace! pensò Petronio. Beato lui! Se potessi fare lo stesso anch’io!
Staccatosi anche da quella porta, il bravo secondino si diede a passeggiare in lungo ed in largo per opporre migliore resistenza al sonno, ch’era sempre lì lì per tornare ad assalirlo.
In fondo al camerone era un cancello, pel quale si passava nelle altre parti della prigione... a quel cancello stava di guardia una sentinella. Petronio si avvicinò al soldato, e gli chiese:
— Camerata, che ora abbiamo?
— Sono appena suonate le undici ore.
— Le undici e io credeva che fosse passata la mezzanotte!
— Ho ancora un’ora da passare in fazione.
— Ed io ho ancora sette ore da vegliare! Maledetto mestiere!... Torniamo a fumare.
Era appena tornato a sedere nel posto di prima, e aveva riaccesa la pipa che si era spenta, quando Petronio intese un altro lamento, che come il primo proveniva dalla cella di Monti.