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68 | i processi di roma |
Stato civile del mondo, è tuttora in vigore presso quel governo, che trovasi in lotta continua colla nuova civiltà. In Roma il processo inquisitorio è l’arme più terribile dei governanti, è la repressione più violenta contro le legittime aspirazioni del popolo, è la vendetta del forte sul debole.
Gli atti della procedura si compiono nel segreto e nel mistero. Le relazioni della polizia e le rivelazioni impunitarie sono la guida prima del giudice. Le delazioni carcerarie, di cui abbiamo sopra parlato, battezzate col nome pomposo di confessioni stragiudiziali, sorreggono tutto l’edifizio del suo processo. Quale possibile difesa, quale speranza di scampo rimane agl’inquisiti? Nessuna! Le forme della legalità non sono che vane apparenze dirette a perderli, a infamarli. Essi vengono sempre condannati nel modo e nella misura che giova e piace al Governo.
Appena il trono del papa fu puntellato dalle baionette francesi, e i difensori della libertà furono oppressi e respinti, e in Roma fu ristabilito l’ordine alla moda di Varsavia, i prelati che avevano tremato nei giorni della insurrezione si accinsero a vendicarsi del passato terrore sui carcerati. In quei giorni le tante prigioni di Roma, e molti conventi, cambiati in luoghi di reclusione, bastavano appena ai detenuti politici.
Monti, Tognetti e il loro amico e compagno Curzio Ventura, erano stati, come vedemmo, rinchiusi nelle Carceri Nove: là dentro li avevano isolati in altrettante segrete.
Il loro contegno era diverso, secondo la differenza del loro carattere. Curzio, anima sdegnosa, che aveva imparato fino dai primi passi della vita a combattere colle avversità della sorte, si era chiuso in una specie di stoica rassegnazione. Non una sua parola, non un suo gesto dimostrava rabbia o sdegno in faccia ai carcerieri. Egli serrava tutto in sè stesso il magnanimo dispetto dell’impresa mancata. Calmo e sereno in vista, ruminava fra sè e sè le delusioni del passato e le speranze di una futura riscossa. Noncurante del suo destino e della sua vita, pensoso solo di quelle grandi idee che occupavano la sua mente: la patria e la libertà!
Gaetano Tognetti, giovane di carattere più irrequieto e impaziente, non sapeva adattarsi alle angustie del carcere, nè sopportare in pace la rovina di tanti ardimenti, nè riposarsi nelle aspettazioni dell’avvenire. Insofferente della prigione, si martoriava più e più colle smanje incessanti, che gli rodevano il cuore, e che esalavano in grida disperate di cruccio e di dolore.
Giuseppe Monti era tutto concentrato nel pensiero della sua famiglia. Sua moglie e i suoi figliuoletti abbandonati, esposti alla miseria; gli strazj di quella povera donna, incerta della sorte di lui, tremante per la sua vita, i pericoli ai quali essa era in preda; queste erano le immagini crudeli che angustiavano il suo cuore, e rendevano più dolorose per lui le ore interminabili della prigione. Tutto compreso da quella pena, tanto orribile pel