Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
monti e tognetti | 61 |
Poi essa guardò in modo significante il prelato. Egli comprese ch’era inviato ad uscire: squadrò con rapida occhiata da capo a piedi l’ignobile figura di Giano; poi volto alla cugina le disse:
— Vedo, signora, che avete degli affari. Vado nel gabinetto di vostro marito: ho appunto bisogno di parlargli.
— Accomodatevi, monsignore.
Il prelato uscì. La dama restò sola con Giano.
XV.
Due madri.
La principessa guardò intorno per assicurarsi che nessuno era in quella stanza, fuorchè l’uomo che gli stava dinanzi, poi gli chiese:
— Ebbene?
— L’ho portato in salvo; rispose Giano.
— Dove?
— A Firenze.
— E perchè hai tardato tanto?
— Non ho voluto ritornare finchè non sono stato proprio certo ch’egli fosse in sicuro. Adesso posso accertarla, signora, che è assicurato per bene.
— E non mi hai recato sue lettere?
— No signora.
— Ma perchè non mi ha scritto?
— Ecco... si è fatto male a un braccio.
— E côme?
— È cosa da nulla. Ha detto che le scriveva appena...
— Viene qualcuno: prendi e parti.
Così dicendo, porse in mano a Giano una borsa di denaro. Egli s’inchinò, e partì.
La persona che sopraggiungeva nel salotto era il principe Rizzi. S’incontrò sulla soglia con Giano, e scambiò con esso uno sguardo d’intelligenza, poi si avanzò verso la moglie.
Essa era raggiante di gioia.
― Principessa! diss’egli con ironica cerimonia.
— Voi, signore!
— Vi trovo assai lieta.
— E cercate indagarne la cagione, non è così, signore?
— È una prova dell’interesse che m’inspira la nobile mia sposa!
— Io sono avvezza a questo spionaggio di ogni ora, di ogni momento,