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monti e tognetti 53


— Il vetturino deve venire a prenderci qui.

— A prenderci qui?... Ma è un uomo sicuro?

— Come me stesso. È un mio compare.

— Dunque, non abbiamo niente a temere?

— Nientissimo.

— Me ne accerti?

— Quanto è vero che io sono un galantuomo.

— E a che ora deve venire questo tuo vetturino?

— Alle otto.

— Sono già suonate.

— Ebbene sarà qui a momenti.

Curzio rimase pensoso, poi disse:

— Senti, Giano, prima di partire vorrei... se fosse possibile...

— Che cosa?

— Rivedere mia... la principessa.

— Manca il tempo.

— Avrei voluto darle un ultimo saluto.

— Glielo darò per voi. Non vi movete di qui. Sarà qui a momenti.

— Chi?

— Non ve lo detto? il vetturino, il mio compare. Aspettiamo, non abbiamo che da aspettare. Intanto, così, per non destare sospetti, io vado a finire la mia partita.

E infatti, Giano tornò a sedere al tavolo di prima, e a giuocare tranquillamente.

Un altro uomo entrò nell’osteria e si avvicinò a Curzio: era Gaetano Tognetti. Anch’esso aveva ricevuto dallo scultore un appuntamento in quel luogo.

Curzio lo prese per mano, e lo condusse al tavolo dove l’aspettava Monti.

— Amici, disse allora il giovane artista, la nostra partita per ora è perduta. La ricomincieremo forse in breve, ma questa volta abbiamo perduto. In questo momento il trionfo è pei preti e pei loro spioni. Bisogna partire. Tutto è concertato per la mia partenza, ma mi piangeva il cuore di lasciar voi, miei fratelli, nel pericolo, che ad ogni ora che passa pende sui vostri capi. Una persona amica pensò già a provvedermi di passaporto e di denaro. Or bene, io mi sono procurato un foglio di via, che può servire per voi due. Seguitemi, amici miei, e fra poche ore avremo varcato il confine, saremo in salvo.

— Amico mio, ti ringrazio, disse Monti, ma io non posso dividermi della mia famiglia: non posso lasciare mia moglie e i miei figli soli, in preda alla vendetta dei preti, la più implacabile delle vendette!

— E tu, Tognetti?