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monti e tognetti 51


— Scelgo i duecento scudi.

— Sta bene. Ascolta dunque come devi comportarti: fra poco verrà in questa osteria Curzio, secondo quanto ha concertato con te. Tu devi tenerlo a bada, dicendogli di aspettare qui in tua compagnia la persona con cui dovete partire. Egli si tratterà qui senza sospetto, finchè verrò la forza ad arrestarlo. Tu allora ti trarrai da parte, e lascerai fare. Va bene così?

— Benissimo, rispose Giano. E aggiunse fra sè: Eh, per essere un principe la sa lunga in queste cose.

Poi, dopo un istante di silenzio, riprese:

— C’è una sola difficoltà.

— Sentiamo.

— Io devo render conto dell’affare alla signora principessa...

— La signora principessa deve credere che la commissione è stata eseguita: tu dunque le dirai che Curzio ha passato felicemente il confine e si trova in salvo.

— Ma se poi viene a sapere che invece si trova in prigione?

— Imbecille! i processi della Sacra Consulta si conducono nel più stretto segreto, e nessuno conosce il nome dai carcerati. La principessa non saprà mai nulla.

Ciò detto, il principe si alzò in piedi, poi disse a Giano:

— Dunque giudizio! Pensa che se tu fossi arrestato saresti tradotto...

— Alle Carceri Nove.

— Pensa che dalle Carceri Nove qualche volta si passa...

— Sulla piazza dei Cerchi.

— E sulla piazza dei Cerchi...

— Zaf! esclamò Giano, facendo il gesto di un rapido taglio.

— Mi hai inteso. Prudenza e fedeltà! aggiunse il principe pianissimo.

Poi gettò una moneta sul tavolo, si avvolse nel mantello, e uscì dalla taverna.

Giano ritornò al tavolo dei giocatori, canterellando:

— La-la-laral-là! la-la-laral-là!

— Ohè! mastro Giano! gli chiese la Sora Rosa dal suo banco. Chi è, se è lecito, quell’omaccio nero nero, che ha parlato fino adesso con voi? mi ha tutta l’aria d’un beccamorti.

— Altro che beccamorti! disse Giano. Quello è nientemeno... sapete chi è?

— Chi mai?

— Un venditore di cerotti pei calli. Sì, proprio. Un uomo che ha l’abilità di farvi camminare dritta come un fuso. Mastro Matteo, eccomi qua ripigliamo la nostra partita: a me le carte.

Un uomo entrò nell’osteria, e andò a sedersi inosservato in un angolo oscuro.