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48 | i processi di roma |
gere la loro fortuna vacillante, a ricacciare indietro i garibaldini colla furia dei fucili Chassepots?
Epperciò esalavano la loro letizia in ogni maniera possibile. Bevevano, canticchiavano, cozzavano insieme i bicchieri, facevano brindisi al Papa e alla Francia, al buon vino e alle monete d’argento, alla morte degli eretici romani, e alla prosperità della chiesa cattolica.
E quand’ebbero cioncato e inneggiato a loro bell’agio, si alzarono traballando, si presero a braccetto, e se ne andarono cantarellando nelle loro tre lingue un coro degno dell’antica Babele.
Quando furono usciti dalla osteria, un giovane che giuocava gettò le carte rabbiosamente sul tavolo, e sclamò:
— Hanno ragione di cantare questi maledetti, hanno ragione! Uh! se non tornavano i Francesi, dàlli dàlli, avremmo poi finito con cacciarli tutti quanti nel Tevere.
Vicino a quel giovane stava un uomo di mezza età, di grossa corporatura, di fisonomia sinistra vestito con una giubba di velluto e con un cappello di feltro, calato sulla fronte.
Costui diede col gomito sul braccio a quegli che aveva parlato, e gli susurrò a mezza voce:
— Non vi fate sentire a dir queste cose, potrebbe succedervi qualche male.
— Io, caro mio, riprese l’altro, parlo come me la sento. Il cuore ce l’ho sulle labbra, io.
— Male, amico, male! A questi tempi il cuore bisogna tenerlo serrato a doppio catenaccio, come faccio io. Vi voglio bene, e per questo vi dò un consiglio di amico. Ci sono tante spie in giro!
— Accidenti a loro! a me non importa niente. Mi mandino anche in galera ci starò per poco! Oh sì!
Un nuovo personaggio entrò nell’osteria.
Era un uomo di alta statura, tutto avvolto in un mantello, che gli celava parte del volto.
Quello sconosciuto passò vicino al tavolo, dove stavano i giuocatori; si arrestò per un istante vicino a quell’uomo di bieco aspetto, che aveva raccomandata la prudenza al suo compagno; gli battè sulla spalla poi essendosi quello rivoltato a guardarlo, senza aprir bocca, gli fe cenno di seguirlo indi andò a sedersi in una tavola isolata e lontana da quella dove si giuocava.
L’uomo lo seguì vicino a lui, poi disse:
— Ebbene? Che volete, compare?....
Si arrestò; guardò meglio l’incognito, lo riconobbe, e soggiunse rispetosamente:
— Lei! eccellenza!....
Ma l’altro lo interruppe, facendogli segno di tacere; poi chiamò il garzone dell’osteria, e fece portare un boccale.