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46 | i processi di roma |
Il fatto più memorabile di quei giorni, e che formerà soggetto d’altra storia, fu quello della casa Ajani.
In quel vasto lanificio di Trastevere, alcuni patrioti andavano faticosamente raccogliendo armi e munizioni nell’intento di adoperarle nel nuovo tentativo che si ordiva.
Per opera dei soliti delatori, la polizia fu avvertita di quei preparativi. Alle due antimeridiane del 25 ottobre una compagnia di gendarmi, coadiuvata da un battaglione di zuavi, si presentò alla casa Ajani, intimando la consegna delle armi e la resa.
Alla minacciosa intimazione, i romani risposero impegnando un sanguinoso conflitto. Erano cinquanta, e non avevano che ventotto fucili e venti bombe all’Orsini!
Quattro ore durò la lotta, e ad ogni istante accorrevano nuove milizie in soccorso degli assalitori.
Il popolo, dalle contrade vicine, tentava ogni mezzo per ajutare i difensori della casa. In mancanza d’armi, i popolani di Trastevere rovesciavano sul nemico mattoni, sassi, masserizie, quanto loro veniva alle mani.
Propagatasi la notizia del conflitto, da ogni parte i cittadini, quantunque inermi, tentavano di accorrere in soccorso dei loro fratelli, ma in ogni contrada le comunicazioni erano chiuse da un fitto cordone di truppe; vano ogni ardimento.
Anche questa volta la fortuna sorrise ai carnefici. I prodi difensori della casa Ajani, isolati, divisi dai loro concittadini, circuiti da un migliaio di combattenti nemici, consumate le munizioni, esauste le forze, ma non il coraggio, furono assaltati dagli zuavi, che giunsero a penetrare dentro la casa.
Non cedettero, quei valorosi e lottando corpo a corpo, contrastarono ogni palmo di terreno ai soldati irrompenti. Nell’atrio, sulle scale scorreva il sangue. Le donne combattevano al fianco degli uomini, e cogli uomini cadevano trafitte, senza mandare un lamento.
Una di esse, Giuditta Tavani, romana, incinta di sei mesi, con un suo bambino in braccio, combatteva armata di revolver e vicino a lei combatteva un suo figliuoletto, garzoncello di tredici anni.
Ferita da molti colpi di bajonetta, Giuditta seguitava a lottare, e a difendere i suoi figli; finalmente cadde colpita da una palla nel mezzo del petto. L’eroica donna, il suo ragazzo, il bambino furono sgozzati senza pietà dai soldati del Papa!
La lotta durò continua di piano in piano, di stanza in stanza, finchè, divenuta impossibile la resistenza, incominciò la strage; uomini, donne, fanciulli, combattenti e inermi, furono passati a fil di baionetta o moschettati.
Così Roma nel 25 ottobre suggellò col proprio sangue il voto, che col sangue istesso aveva scritto il 22, e quel voto suonava: Odio eterno alla sovranità del Papato!