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monti e tognetti | 45 |
miglia circa dalla città, si fermarono quivi ad aspettare, secondo i concerti presi, il momento opportuno per introdursi in Roma.
Erano le ore quattro pomeridiane di quel giorno 23 ottobre, quando il loro asilo fu scoperto.
La vigna Glorio venne assalita da cinquecento zuavi, che combatterono dieci contro uno.
I magnanimi compagni si difesero eroicamente, ma furono schiacciati dalla forza preponderante.
Il sangue italiano scorse a larga mano sotto le baionette dei mercenari papali!
Frattanto le porte della città erano barricate e munite di artiglierie, i ponti sul Tevere erano minati per opera delle truppe; tutti i posti di guardia raddoppiati. Le pattuglie a piedi e a cavallo erano in moto giorno e notte. La piazza Colonna, piazza del Popolo, il Campidoglio, il Pincio, il Quirinale, tutti insomma i punti strategici, erano mutati in altrettanti campi trincierati, dove accampavano continuamente le colonne pontificie; la circolazione, divenuta difficile di giorno, era impossibile la sera. Roma dopo l’imbrunire era affatto deserta di popolo, occupata solo dai soldati.
Tale era l’aspetto di quella città in quelle funeste giornate; e intanto la polizia proseguiva imperturbabile ne’ suoi arresti. Le prigioni non bastavano più ai detenuti, schifosamente agglomerati ne’ cameroni, nelle segrete, nei sotterranei, dappertutto.
Finalmente il generale Zappi proclamò ufficialmente lo stato d’assedio, e impose il disarmo generale, nuovo pretesto d’inquisizioni e d’imprigionamenti.
Roma era dunque stretta in un cerchio di ferro e di bronzo, e mentre gli sgherri stranieri ribadivano le sue catene, i feroci poliziotti esercitavano liberamente il loro ufficio di manigoldi.
Eppure non cadde ancora l’animo dei generosi, che avevano giurato di vincere o morire, e coi polsi insanguinati dai ceppi, e col ginocchio degli oppressori sul petto, tentarono gli sforzi estremi contro la tirannide sacerdotale che li soffocava.
In varii punti della città s’impegnarono accaniti conflitti fra il popolo inerme e i prepotenti sgherri del Papa.
A San Lorenzo e Damaso una compagnia di antiboini, che traduceva un drappello di prigionieri, è cacciata in fuga.
Altre pattuglie venivano nello stesso tempo aggredite con bombe all’Orsini verso piazza di Pasquino, a Santa Lucia della Chiavica, alla Trinità dei Pellegrini, ai Monti, e in altri luoghi.
Questi atti di disperata audacia costarono nuove vite di cittadini, ma non valsero a smuovere le falangi reclutate dall’avidità e dal fanatismo su tutta la superficie del globo.