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monti e tognetti | 43 |
Toccò di nuovo i barili, si assicurò che fossero ben disposti, che la polvere di ognuno d’essi si congiungesse a quella del mattone.
— Ed ora, pensò, mi protegga Iddio!
Estrasse di saccoccia, il pezzo d’esca, lo stirò, lo palpò. Poi trasse fuori un astuccio, ne cavò un fiammifero, e lo accese fregandolo contro il medesimo astuccio.
Accostò uno dei capi dell’esca alla fiamma di quel fiammifero, poi la buttò via.
Si assicurò che l’esca fosse bene accesa soffiandovi sopra; poi, aiutato dal debole chiarore che spandeva lo stecco dello zolfanello, tuttora ardente per terra, appressò l’esca alla polvere sparsa sul mattone, e quivi la depose in maniera che coll’estremità non accesa toccasse la polvere.1
Dopo ciò, procedendo a tentoni, ma rapidamente, Monti trovò la porta, ed uscì sulla via.
Era giunto appena nella vicina piazza di Scossa-Cavalli, che una detonazione spaventosa lo avvertiva che la mina era scoppiata.
X.
Ultimi sforzi.
Lo scoppio della mina non produsse quell’effetto che il comitato di Salute Pubblica erasi ripromesso.
Solo una parte della caserma crollò, e precisamente quella ch’era situata sull’angolo della via Borgo Vecchio, e soli trentaquattro zuavi furono travolti nella rovina. La maggior parte degli zuavi era assente dalla caserma: chè, quando avvenne lo scoppio della mina, nuove compagnie erano già partite alla volta di Porta San Paolo.
Ormai piegavano senza riparo le sorti della rivolta.
I patrioti che accorsero al segnale dello scoppio furono arrestati dalle grosse pattuglie che sbarravano le vie.
Al Campidoglio, a Piazza Colonna, gl’insorti erano sbaragliati.
Solo resisteva ancora la Porta San Paolo. E contro quell’ultimo baluardo della libertà si scagliarono tutte le forze del dispotismo clericale.
Nuove colonne giungevano ogni momento a rinforzare l’attacco di fronte a quell’eroico drappello, che resisteva coll’energia della disperazione.
- ↑ Questi particolari sono esattamente conformi alla stessa confessione fatta dal Monti durante il processo.