Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
monti e tognetti | 41 |
questo momento il popolo romano senz’armi e senza difesa è abbandonato alla strage.
— Ma dunque non c’è speranza?
— Sì, Monti, c’una speranza ancora. I nostri stanno in questo momento assaltando il Campidoglio, sono armi per essi il furore e il disperato coraggio. Quando noi avremo fatto saltare questa caserma, e avremo impedito che nuovi nemici vadano ad assalirli alle spalle, non tarderanno a impadronirsi di quel sacro e antico asilo di libertà. Colassù potremo tener fermo finchè ci giunga il soccorso di Garibaldi. È necessario che l’alba di domani vegga sventolare la bandiera nazionale sulle alture di Roma; altrimenti tutto è finito.
Una vettura si fermò sulla strada, e poco dopo un colpo leggerissimo fu bussato alla porta.
Curzio si avvicinò, e chiese sommessamente:
— Chi è?
— La Libertà di Roma! rispose piano del pari la voce di Gaetano Tognetti.
La porta fu aperta. E Tognetti coll’ajuto dei due compagni, trasse dalla vettura, e introdusse nel magazzino due barili, poi entrò dentro anch’esso.
La porta fu rinchiusa: la vettura partì.
— Come vanno le cose nostre?
Così chiese Curzio a Tognetti.
— Male, rispose. I nostri si trovano dappertutto senz’armi, e vengono massacrati senza pietà.
Bisogna pensare a soccorrerli, disse Curzio. Entrando qui dentro abbiamo urtato in un fascio di fucili. Eccoli... sono qua. Noi porteremo loro queste armi.
— Ma prima, disse Tognetti, dobbiamo eseguire questo colpo della mina.
— Per la mina basto io solo! esclamò Monti, voi altri andute.
— Che dici?
— Sì, fidatevi di me! penso io a tutto. Voi altri andate ad assistere i nostri fratelli, che si battono uno contro dieci.
— Qua, Tognetti, dammi la miccia e parti, al resto penso io.
— La miccia?
— Ma sì.
— Ah! non ci ho pensato!
— Disgraziato e come fare?
— Vado a cercare...
— Ma no, non v’è da perdere un istante. Ogni minuto che passa, costa la vita di cento romani.