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monti e tognetti | 39 |
I popolani, assaliti a tergo da nuove compagnie di cacciatori esteri, partiti al passo di corsa dalla vicina caserma, furono schiacciati fra due fuochi mentre la fucilata continua del palazzo spazzava la grande scalinata.
Funeste del pari procedevano le sorti della rivolta in altri punti di Roma; e dappertutto invano si spargeva il sangue cittadino.
Il deposito di revolver destinato ad armare quei patriotti che dovevano attaccare il comando di piazza e il palazzo di polizia a Monte Citorio, fu scoperto anche quello per opera dei delatori, e venne sequestrato nel momento appunto in cui si doveva farne la distribuzione.
Pur tuttavia si tentò l’impresa; uccisa la sentinella, gli insorti attaccarono il corpo di guardia di Piazza Colonna, esplodendo delle bombe all’Orsini, unica arma che lor rimanesse: ma furono soprafatti dai drappelli di cavalleria che quivi giunsero a sgominarli.
IX.
La Caserma di Serristori.
Mentre accadevano le cose narrate nei capitoli precedenti, Curzio, Monti e Tognetti si accingevano all’opera, ch’era stata affidata al loro patriottismo. Una delle parti più importanti del piano d’insurrezione era certamente la mina della caserma Serritori.
La caserma situata nel rione di Borgo, e a poca distanza dal palazzo del Vaticano, era occupata dagli zuavi pontifici. Questo corpo è reclutato fra i clericali più fanatici e feroci, su tutti i ponti del globo. È un’accozzaglia di gente, di stirpi, e di lingue diverse, che non ha altro vincolo cumune se non che l’acciecamento e l’intolleranza religiosa. Sono i giannizzeri del potere temporale.
Facendo saltare in aria quella caserma, e con essa la maggior parte degli zuavi, si toglieva il nerbo principale delle truppe papali, e mentre gl’insorti si trovavano a fronte di un numero preponderante, s’impediva almeno che nuove forze sopraggiungessero ad opprimerli del tutto, siccome poi sgraziatamente avvenne.
Quella operazione non era però senza un grave pericolo, e si richiedeva ad eseguirla una straordinaria audacia combinata col massimo sangue freddo. Fu perciò che Tognetti, il quale godeva tutta la fiducia dei capi, avendo ricevuto insieme a Curzio l’incarico di quella impresa, pensò di assocciarsi nella esecuzione l’opera dell’amico Monti, del quale gli erano noti così il coraggio come la sicurezza.