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32 | i processi di roma |
la punta aguzzą di una lama di ferro, forando le vesti, venne a posarsi a fior di pelle sotto la sua mammella sinistra.
Tognetti sporse innanzi la testa, cercando quella dell’assalitore, e all’orecchio di questo, mormorò:
— È il giorno dei morti!
Il pugno che stringeva il suo abito si aperse. La lama dello stiletto si ritrasse, e il giovane passò oltre.
Monti ripetè le medesime parole, e anch’esso passò.
Fecero molte giravolte, salirono e scesero degli informi gradini, aiutandosi in quella tenebra col continuo tentar delle mani, finchè arrivarono a una specie di sala a volta scavata nel sasso.
Era la grotta del Comitato.
Molte erano le persone quivi adunate; ma tanto poco era lo spiraglio di luce che arrivava là dentro, che gli uomini sembravano altrettante ombre dalle vaghe sembianze, dall’aspetto incerto e oscillante. Solamente dopo un lungo soggiorno che si fosse fatto là dentro, si poteva pervenire a veder chiari gli oggetti.
Quando i due compagni giunsero nel luogo della riunione, una voce parlava, una voce franca, ardita, impetuosa.
— È tempo, diceva, proseguendo in mezzo al silenzio degli altri un lungo discorso: è tempo ormai che vi laviate da questa macchia, o Romani. L’Italia segue con occhio intento i suoi figli che mossero per liberarvi a prezzo del loro sangue. E guarda voi pure, e dice, sì fratelli, ve lo dice colla mia bocca: E Roma, che fa, che non risponde all’appello? Sarebbe vero ch’essa ami le sue catene? Sarà vero che i nepoti degli Scipioni e dei Bruti siano schiavi adoratori del pontefice-re? Questa, questa è l’accusa che vi grava sul capo. A voi, Romani, a voi: rispondete.
La voce si tacque; e subito dopo un’altra, non meno maschia della prima, ma più giovanile, più ardente, proruppe dall’altro lato della grotta:
— Io, figlio di Roma, in nome di tutti risponderó.
Un mormorio di approvazione successe a quelle parole. E Tognetti, che aveva riconosciuta quella voce, sussultò dal piacere, e stretta vivamente la mano di Monti, che aveva vicino, gli disse all’orecchio:
— Ascolta, ascolta! è Curzio che parla.
E Curzio, ch’era esso infatti, così riprese il suo dire:
— Io non dovrei rispondere colle parole. Tra poco Roma risponderà coll’azione, col sangue: ma io non posso lasciar cadere quest’accusa di codardia. Dite codarda Roma perchè non è insorta ancora! Ma non sapete che a Roma manca il suo sangue più caldo e più puro, e invece di quel sangue le circola nelle vene una tabe immonda e non sua? Che sono nove anni che i suoi figli migliori emigrano continuamente, e vanno ad accrescere le file dell’esercito italiano; e sono nove anni che piovano in seno