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188 | appendice |
Si voleva dimostrare che il movimento romano non fu opera dei cittadini di Roma; ma fu importato dal di fuori; si voleva dimostrare che gl’imputati non furono spinti ai loro atti dall’idea patriottica ma sibbene da un vile interesse.
Diretto a tali intenti il giudice si valse dello sterminato potere che gli accorda la procedura inquisitoria, contorse i fatti, li ravvolse nelle ambagi di capziosi ragionamenti.
E come potevano gl’inquisiti difendersi da quelle insidie? quale garanzia accorda loro la legge sotto il governo del Papa?
Nessuna idea di giustizia e d’equità nemmeno subordinata ai fini preconcetti entrò nella compilazione del processo e della relazione, che n’è il riassunto. Spargimento di sangue doveva esservi ad ogni costo, e come il carnefice appresta e forbisce il suo arnese di morte, così il giudice pontificio ordì la rete delle sue disquisizioni per modo, che almeno due degli imputati vi lasciassero impigliata la testa.
La decapitazione di Monti e Tognetti, eseguita dalla ghigliottina pontificia, salutò un grido unanime d’indignazione da un capo all’altro d’Italia. Questo grido risuonò anche in Parlamento per la bocca dei rappresentanti del popolo. La riparazione di quell’atto inumano fu espresso innanzi alla Camera dei deputati dallo stesso presidente del Consiglio dei ministri generale Menabrea, con queste parole che acquistarono una speciale importanza per la persona che le pronunziava.
«Signori. La notizia della esecuzione del Monti e del Tognetti ci ha dolorosamente contristati. Noi speravamo fino all’ultimo istante che, un atto di clemenza avesse risparmiata la vita a a quei due infelici; e lo credevamo tanto più, che già da più di un anno essi erano trattenuti nelle carceri; e che il fatto per cui furono condannati, aveva un carattere politico, perchè esso era principalmente diretto contro quella truppa straniera, che più d’ogni altra aveva suscitato lo sdegno del popolo romano.
«Crediamo che quest’atto sarà considerato come una inutile vendetta, e non servirà certo a rialzare il prestigio di un’autorità, la quale non si regge che per le influenze straniere.
«Il ministero, o signori, non ha trascurato nulla di quanto era nelle sue facoltà, per fare in modo che fossero sottratti all’ul-