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sunto della relazione fiscale 185

circondavano del partito mazziniano, che aveano dichiarato di fare un plebiscito in senso repubblicano, giacchè Mazzini medesimo avea dato l’ordine di proclamare la repubblica italiana; ed in Roma a tal uopo vi erano gli emissari di Mazzini e di Rattazzi, i quali contrastavano a vicenda coi partiti esistenti in Roma.„

Nel piano pratico della rivoluzione venne avvisato di attentare alla vita dei militari esteri, massacrandoli in massa col mezzo, consentito in tempo di guerra, delle mine, lo scoppio delle quali, abilmente disposte, avrebbe dovuto farne saltare in aria le caserme con quanti vi sarebbero dentro. Ed una tale idea suggeriva ai capi mestatori di rivoluzione la necessità in cui erano di far molto e presto, imperocchè mancavano le armi e le munizioni, e così erano una fiaba le provviste imponenti che tanto vantava da anni il celebre Comitato nazionale romano, e per le quali parimente avea succhiate alla buona fede dei creduli rilevanti somme di danaro.

È un fatto attestato persino nei rapporti militari del generale pontificio ministro Kanzler, che alla rivoluzione romana mancarono le armi promesse dal Comitato nazionale, in cui sconsigliatamente fidando migliaia di giovani, si esposero contro le truppe regolari, nella sicurezza, tradita, che sarebbero loro state distribuite le armi al momento d’incominciare la lotta; invece furono inermi ed abbandonati! Niuno al mondo potrebbe accusarci di mendaci nel ricordare che facciamo questa verità dolorosa pur troppo di tradimenti, ma storica.

Risoluto il mezzo delle mine, studiando nella carta topografica di Roma, si designavano i luoghi ove poterle, con gli ostacoli minori possibili, collocare, ed ove stanzionassero soltanto gli esteri, osservando per altro che circonvicini non ne risentissero danno. I progetti si fermarono sopra le due caserme di Serristori e di Cimarra, tenuta dai zuavi la prima, dai legionari di Antibo la seconda.

Inutile qui sarebbe ripetere i varii tentativi, i molti sperimenti, sempre riusciti invano, per minare, secondo le regole dell’arte, le due caserme. Interessa bensì a sapersi, che i più attivi negli studii e nella direzione pratica di esse furono i due romani Giuseppe Ansiglioni e Giulio Silvestri, dichiarati assenti, con l’ingegnere Giuseppe Bossi, romano, e Giuseppe Monti, muratore di Fermo, intrepido esecutore, entrambi arrestati. Lo scoppio di una mina «era addivenuto necessario, essendosi divulgato che un gran rimbombo dovea essere il segnale della rivalta, stabilita per le ore otto circa di detto giorno 22 ottobre prossimo passato» ed inoltre la sfida erasi già data, gittato apertamente il guanto.

Del modo come fu eseguita la mina a Serristori dirà, meglio che ogni altro studiato racconto, la confessione genuina dell’esecutore Giuseppe Monti, il quale fu per accidentalità arrestato nelle ore pomeridiane del 24 ottobre nell’osteria dell’altro arrestato Domenico Lucci, dove si con-