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sunto della relazione fiscale | 183 |
già prima della sera della sommossa gli ufficiali superiori di artiglieria, avuto sentore delle ree macchinazioni e della infedeltà del loro maresciallo Zaffetti e di talun altro, avevano fatto sgombrare della polvere la polveriera designata n. 5, e con bel garbo avevano tenuto lontano i sospetti, e resili incapaci di male oprare. Qua e là in più luoghi, per mantenere l’agitazione, si esplodeva no bombe: nel Trastevere il di 25 si riunivano armi e molte persone nella casa abitata da certo Giulio Ajani, e s’ingaggiava una fiera lotta colla truppa, e ne succedevano ferimenti ed uccisioni, di che darà conto una separata processura all’uopo intrapresa: nel giorno 30, due ore dopo entrati i Francesi in Roma, veniva insidiosamente assalita una mano di zuavi presso la villa Cecchini, e ne conseguiva un confitto con morti da ambe le parti.
Vinto finalmente a Mentana Garibaldi, datosi alla fuga, i suoi ne seguirono le peste; Roma fu purgata da esterni ed interni agitatori. E quando si fu in grado di ordinare l’arresto di coloro che avevano preso parte morale e materiale nell’apprestare le mine, e nelle ree macchinazioni e conati su Castel Sant’Angelo, i capi principali Francesco Cucchi, Giuseppe Ansiglioni e Giulio Silvestri aveano già provveduto alla loro salvezza, tornandosene là di dove erano venuti, e si constatò la fuga e contumacia di Cesere Perfetti, di Filippo Fioretti, di Angelo Tognetti, di Augusto Ammaniti, di Giovanni Borzelli e di Camillo Brica. I soli che caddero in potere della giustizia furono: Luigi Castellazzo, Giuseppe Monti, Giuseppe Bossi, Gaetano Tognetti, Benedetto Raffo, Rocco Dimaggio, Mariano De Mattias, Tito Sernicoli, Carlo Palanca, Franceso Zaffelli, Pietro Santarelli, Claudio Marchesi, Giuseppe Moresi, Vincenzo Patrizi, Antonio Zamperini, Achille Semprebene e Luigi Claudili. Fra questi arrestati confessarono la propria e l’altrui colpabilità con qualità scusanti Giuseppe Monti, Giuseppe Bossi, Tito Sernicoli e Francesco Zaffetti.
Il titolo principale di accusa è Di promossa insurrezione contro il Sovrano ed il Governo con apprestamento di mina alla caserma Serristori con omicidi e ferimenti. La prova generica dell’esistenza del titolo d’accusa la offre il fatto stesso dello scoppio della mina avvenuto nella sera del 22 ottobre, e del rovinio di un angolo della caserma che ne seguiva coll’eccidio e col ferimento di molti individui. Catastrofe orrenda che veniva pietosamente narrata da Giuseppa Cecchi, vedova di Francesco Ferri, la quale per caso vi fu travolta insieme col marito ed una figlietta di sei anni, che vi rimanevano estinti, mentre dessa ne riportava gravi ferite.
Alcuni zuavi sopravvissuti deposero che partita da non molto una loro compagnia per alla volta di San Paolo, i rimasti attendevano chi ad una, chi ad altra faccenda, quando circa le ore sette di sera fu udita una subitanea e cupa esplosione con tale un percuotimento e rovinio, che