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dei nemici interni ed esterni, faceva sforzi inauditi, ma non le fu conceduto sfuggire ai mali di una rivoluzione, alla quale spingevano i garibaldini che romoreggiavano per ogni intorno, e gl’intendimenti dei rivoluzionari, che presero maggior ansa, quando nel Moniteur del 22 ottobre apparve la notizia della sospensione dell’imbarco delle truppe francesi a difesa della Santa Sede. A questa novella, assicurato il Governo italiano, aprì liberamente i contini a migliaja di garibaldini, onde si riversassero sullo Stato pontificio, e fece giungere a Cucchi l’ordine che Roma onninamente la sera stessa insorgesse.

Come si fu un tal ordine diramato ai capi agitatori, corsero dessi a darne gli avvisi ai loro cagnotti, a fermare gli accordi, a fissare le poste, a dispensare le armi. Roma nelle ore pomeridiane di quel di formicolava di sgherri forastieri misti a bordaglia, che mai non manca in popolose città, presta sempre a scelleratezze, ove trovi di avvantaggiarsene. Il Governo messo sull’avviso, vegliava; i corpi d’ogni arma stavano all’erta, di guisa che, quando nella sera alcune bande d’insorgenti, le quali si avvolgevano con armi in varii punti della città e fuori della porta San Paolo, vollero misurarsi co’ soldati, furono per ogni dove battute, vinte e disperse.

La sola fazione che rispose ai biechi intendimenti, degna certamente de’ suoi autori, e di che si compiaque il Cucchi e mandò a farne i suoi rallegramenti, fu la mina fatta scoppiare sotto la caserma Serristori. Per essa crollo da cima a fondo con ispaventevole detonazione una parte del fabbricato, e furono travolti a precipizio e sepolti fra le rovine parecchi militari zuavi, e la più parte italiani, dei quali pochi andarono illesi; dodici rimasero chi più chi meno gravemente feriti, per modo che in progesso di tempo tre ne perirono, ventidue furono estratti morti: una famigliuola che a caso andava per via, marito, moglie ed una fanciulla di presso a sei anni, restarono anch’essi sotto le macerie; la sola donna ne potè essere tratta semiviva e pesta; le case circostanti allo scoppio orrendo, ed al crollo violento patirono tale una scossa che si screpolarono in più parti, andarono in frantumi porte e finestre.

Nel dì seguente i cittadini, inorriditi alla vista di tanto disastro, maledicevano gli autori di cosi nero e barbaro tradimento. Ma i settari, freddi, per nulla scorati delle iatture e dello smacco della sera innanzi, sicuri degli appoggi esteri, pieni di dispetto e di odio, che mai non muore nei loro petti, sghignazzavano, si preparavano alla riscossa, intendevano alla vendetta. Infatti nella notte appresso mandavano a nascondere nei già detti sotterranei attigui alla caserma di Cimarra un barile di polvere, ed avvertiti del danno che ne sarebbe avvenuto piuttosto alle case sottostanti della via Paradisi: non importare, dicevano, purchè si spargesse il terrore e lo spavento, ed in questo si potesse sorprendere ed assaltare i legionari d’Antibo; pressavano, onde accadessero orrori in Castel Sant’Angelo; ma