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sunto della relazione fiscale 181

suo amato sovrano. I membri del sedicente Comitato romano davansi bene attorno a fare proseliti, ma, gli sforzi non riuscendo alla vastità dell’impresa scellerata, fu duopo muovessero da Firenze uomini sperti delle rivoluzioni: ed ecco venire alla spicciolata un buon numero con passaporti regolari sotto mentiti nomi, fra i quali primi e più capaci e influenti Luigi Castellazzo, pavese, Francesco Cucchi, bergamasco, deputato al Parlamento e colonnello garibaldino, ed altri ancora insieme ad un Giuseppe Ansiglioni, emigrato romano, tutti ufficiali di Garibaldi, e ad un Giulio Silvestri, ufficiale nell’esercito italiano, destinati a coadiuvare il Cucchi, capo supremo della impresa. Dessi, giunti in Roma, si affiatarono coì caporioni settarii romani, essendo di essi primi e più intraprendenti Cesare Perfetti, Giovanni Borzelli e Filippo Fioretti, i quali avevano ubbidienti altri ugualmente pronti e faccendieri.

Allo intento delle mire rivoluzionarie facevano ostacolo le truppe straniere al servizio della Santa Sede, e di preferenza gli animosi zuavi. Castel Sant’Angelo, baluardo del Vaticano, ben guardato e difeso, non offriva modo ad aversi con un colpo di mano. Quindi il pensiero infernale di ricorrere al tradimento minando caserme, inchiodare i cannoni del forte nel momento dell’azione, farne scoppiare le polveriere, lanciare bombe all’Orsini, a strage de’ zuavi, uccidere i più zelanti degli ufficiali d’artiglieria.

All’uopo accordarono uomini esperti dei luoghi, e risoluti ad agire; degli artiglieri subornarono alla fellonia sei bassi ufficiali.

Gli emigrati Ansiglioni e Silvestri trassero a loro l’ingegnere Giuseppe Bossi, il quale assunse l’incarico di esplorare le caserme, e scegliere i luoghi opportuni ove collocare le mine. Lo coadiuvarono i muratori Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, i quali di notte tentarono varie esperienze inutilmente per trovar modo di introdurre barili di polvere ne’ sotterranei della caserma Serristori. Fu dovuto rinunziarvi ed attenersi invece al partito di aprire con chiave falsa un locale terreno della stessa caserma, collocarvi due barili di polvere ed appiccarvi fuoco. Lo scoppio di essi dovea ancora servire di segnale allo scatenarsi della rivoluzione; e così fu.

Per la mina della caserma di Cimarra, ove stanziano i legionari d’Antibo, si ricorse allo spediente di far prendere in affitto da un Augusto Ammaniti alcuni sotterranei a contatto col muro posteriore di essa caserma; vi si tentarono gli apparecchi opportuni, ma non riuscirono.

Un Filippo Fioretti intanto riusciva a sedurre con danaro e con promesse lusinghiere di avanzamenti militari quattro marescialli, due brigadieri ed un milite comune di artiglieria, che gli giurarono ajutarlo nell’opera d’inchiodare i cannoni, ed in ciò che venisse imposto dalle circostanze della rivoluzione.

Così disposte le cose, andavasi incontro al momento della gran lotta. Roma per altro, confidente negli aiuti di Francia, per resistere all’urto