Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
178 | appendice |
Intanto prima di sera il popolo tentava accorrere da ogni parte in aiuto dei combattenti, ma tutte le vie e le comunicazioni erano chiuse da un fitto cordone di truppa; circa un migliaio di uomini circondavano il campo di quell’eroica difesa.
Basterebbe questo fatto, iniziato è compiuto dai soli Romani, per dimostrare che fra Roma e il papato sorse una barriera insormontabile; basterebbe il sangue degli sgozzati di casa Ajani per consacrare la Corte di Roma ad un odio immortale.
Nei successivi giorni, 26, 27, 28 e 29, continuarono su varii punti gli assalti alle pattuglie e gli scoppii di bombe Orsini. Gendarmi, zuavi, antiboini, erano pugnalati; il popolo, giunto alla disperazione, si vendicava come poteva.
Frattanto Garibaldi spingendosi verso Roma, riportava il 25 ottobre la splendida vittoria di Monte Rotondo, prendendo ai pontifici 200 prigionieri e tre cannoni. Nei giorni seguenti nuovi trionfi segnalano l’avanzarsi dei garibaldini che inseguono i papalini fin sotto le mura di Roma. Già Garibaldi dal casino di San Colombo in vista della città dice ai Romani di tenersi pronti alla riscossa, quando il giorno 30 le truppe francesi comandate dal generale De Failly sbarcano a Civitavecchia, e alle ore 3 pom. di quel giorno medesimo entrano in Roma il 1.° e il 7.° di linea, seguiti poco dopo dal 29.° e da altri reggimenti.
Questo fatto doveva schiacciare quel resto di energia che ancora rimaneva ai Romani, però prima di ripiegare la vinta ma non domata bandiera della sacra rivolta, il popolo romano volle ancora dar segno di sè. Gli pareva che il ritorno dei Francesi, codesto nuovo insulto ai patti giurati, al diritto, all’onore, codesta nuova violenza usata dalla nazione madre delle rivoluzioni allà più giusta delle rivoluzioni, codesto nuovo misfatto del cesarismo alleato del papato non dovesse passare senza una nuova protesta di sangue e che fosse giusto castigo alla vanità militare dei soldati della Marsigliese che il loro cammino fosse seminato di romani cadaveri caduti per la libertà sotto il piombo clericale.
Così un pugno di risoluti, tentando rinnovare alla villa Cecchini Mattei a Sant’Onofrio l’impresa fallita in Trastevere, attaccati da due compagnie di zuavi si difesero disperatamente fino a sera, finchè divenuto vano il resistere accettarono la morte. Fu questo lo spettacolo cui assistette la Francia dell’89 reduce in Roma il 30 ottobre 1867.
Così la sola città di Roma dal 22 al 30 ottobre, per esprimere e suggellare il proprio voto, per sgombrare dalla mente degli illusi ogni idea di conciliazione, e di transazione, diede alla causa italiana oltre cinquanta morti, un centinajo di feriti, e ottocento carcerati.
La sanguinosa epopea doveva avere un triste eppur glorioso scioglimento a Mentana. Garibaldi, che dopo l’intervento francese aveva riconosciuta