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176 | appendice |
Per la città cresceva l’agitazione; la polizia faceva arresti in massa, le porte erano barricate e munite d’artiglierie, i ponti sul Tevere minati, tutti i posti raddoppiati, pattuglie a piedi e a cavallo in moto giorno e notte; piazza Colonna, piazza del Popolo, il Campidoglio, il Pincio, il Quirinale, tutte le posizioni strategiche erano occupate da forti colonne di truppe d’ogni arma; la circolazione per la città difficile di giorno, pericolosissima di sera; Roma dall’imbrunire in poi deserta.
Era lo stato d’assedio di fatto: insidioso, mascherato, senza proclamazione, senza norme, più pericoloso e terribile di qualunque altro; ma era quello che giovava al governo pontificio per opprimere Roma nelle tenebre, e strombazzare fuori per la credula Europa che Roma era tranquilla e il governo sicuro.
Ma alla fine il crescente pericolo lo costrinse a levarsi la maschera.
Il 24 ottobre, a mezzogiorno, il generale Zappi proclamò ufficialmente lo stato d’assedio per Roma e suo territorio, e il disarmo generale.
La proclamazione aveva la data in bianco, prova che da molto tempo era preparata, e che non si osava pubblicarla.
Era la prima sfida aperta dal governo papale al popolo romano, e ad essa fu data conveniente risposta.
Nella casa dei signori Ajani, vasto lanificio in Trastevere, alcuni animosi andavano faticosamente raccogliendo armi e munizioni, nell’intento di adoperarle per un nuovo tentativo che si ordiva.
In mezzo a questi preparativi, la polizia, avutone sentore, alle due antimeridiane, del 25 si presentò con grande apparato di gendarmi e zuavi onde intimare la consegna delle armi e la resa.
Alla minacciosa intimazione risposero coi revolvers, e li respinsero. Possedevano solo 28 fucili e 20 bombe Orsini, erano 50 contro un battaglione di zuavi, a cui tutta la guarnigione pontificia poteva andare da un istante all’altro in soccorso.
La lotta era disperata, e non restava loro altra certezza di vittoria che quella del martirio.
Lo accettarono, ma per quattro ore vendettero cara la loro vita, e seminarono di corpi nemici la contrada.
In alcune portar aiutase vicine a quella. Ajani il popolo tentava ogni mezzo onde ai difensori. In mancanza d’armi, rovesciava sul nemico quanto gli veniva alle mani tegole, mattoni, masserizie. Alla fine il numero prevalse, e gli zuavi penetrarono nella casa.
Allora fu un duello corpo a corpo, uno contro dieci, e le donne davano l’esempio.
Una romana, Giuditta Tavani, con un bambino in braccio, e incinta da sei mesi, lottando eroicamente coi revolvers contro il nemico irrompente, ferita da molti colpi di baionetta, fu alla fine colpita da una palla nel mezzo del petto e spirò l’anima virile.