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158 i processi di roma

non era più entrato nella casa delle due donne, per paura di compromettersi; ma, quando giunsero i giorni della massima afflizione, quando Monti fu condannato a morte, allora il naturale buon cuore del povero prete la vinse sul sentimento di paura che lo predominava, ed egli accorse a confortare come meglio potè la misera famiglia, e, non potendo far altro, a piangere con quelle donne. Quando poi Monti e Tognetti furono decapitati, egli si propose di consacrare alla loro memoria una messa, che avrebbe detta gratuitamente, non ostanti le sue strettezze finanziarie.

Nel giorno seguente a quello in cui ebbe luogo l’esecuzione, don Omobono, incantucciato fra due pilastri di un palazzo in piazza del Gesù, guardava a bocca spalancata una finestra del primo piano, nella casa dirimpetto: aveva saputo appunto allora, nella sagrestia del Gesù, che stava per morire un ricco signore, pel cui funerale si sarebbero dette delle messe da uno scudo l’una per lo meno, ed egli già calcolava su quello straordinario provento, per potere poi nel dì dopo dire la messa gratuita, che stava ne’ suoi progetti.

Un chierico della chiesa, ch’egli aveva lasciata pochi minuti prima, venne a toglierlo da quella contemplazione.

— Don Omobono, disse il chierico, eravate appena partito dalla sagrestia, che il padre Bindi ha mandato a cercare di voi con gran premura.

— Il padre Bindi! disse don Omobono sgusciando gli occhi. Ha cercato di me?

— E con grande premura.

— Eccomi, eccomi; che sua reverenza non abbia da aspettare.

E il prete di vettura, sopravvanzando il chierico, traversò quasi di corsa la piazza, ed entrò con gran furia nel fabbricato del Gesù, per quella porta laterale che mena all’atrio della sagrestia e del chiostro.

La ragione di quella premura si era questa, che padre Bindi era uno dei segretari primari del Padre Generale: a tutti era nota la sua potenza, e don Omobono doveva aspettarsi da quella inattesa chiamata molto bene o molto male.

Salì a tre a tre i gradini della scala, e dal primo laico che incontrò nel corridoio fu guidato, non già nella cella, ma nell’appartamento di padre Bindi. Questi, che era un gesuita lungo e magro, ricevè don Omobono nel suo gabinetto di lavoro, seduto allo scrittoio ingombro di carte, e co’ suoi occhiali sul naso.

— Reverenza, reverenza, mormorò più volte il povero prete, strisciando i piedi per terra, e battendosi il petto col mento.

— S’accomodi, don Omobono, sieda qui vicino a me.

— Troppo onore; mi hanno detto ch’ella mi comandava.

— Sì, desidero parlare con lei, ma senza cerimonie, così... da amici.

— Cosa dice? Troppo onore, reverendissimo!