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monti e tognetti | 11 |
tenga vilmente in disparte! Voi, mia madre, mi consigliate una viltà. Ah! voi non siete romana!
— Io sono madre!
— Ebbene, armatevi di coraggio; vostro figlio sarà degno di voi.
La principessa, pure tremando per la vita del figlio, sentiva nel cuore la santa gioia dell’orgoglio materno.
Curzio, fatto un supremo cenno d’addio, mosse verso la porta per partire.
Tutta l’angoscia della paura risorse nell’animo della madre, e con energico sforzo essa trattenne il figliuolo. Gli si parò dinanzi, e sclamò:
— Ah no! Io non ti lascio in quest’istante.
— È necessario! esclamò Curzio, e cercò di distoglierla dolcemente dalla resistenza.
Nè seguì una specie di lotta, piena di affanno, di lagrime, di amore. Da un lato combatteva la tenerezza materna: dall’altro un generoso proposto, in contrasto coll’affetto figliale.
In quella si aperse la porta, e un uomo di sinistra apparenza comparve sulla soglia.
III.
Il principe Rizzi.
Francesco Rizzi di Castelgrande, principe assistente al soglio pontificio, antico allievo dei gesuiti, abbarbicato da lunga mano ai caporioni della reazione, era uno dei più accaniti sostenitori del potere temporale del papa.
La sua natura malvagia era apertamente rivelata dalle sue fosche sembianze. Alto, magro, stecchito, egli aveva radi capelli, tinta olivagna, naso grifagno, guardatura losca. Camminava di sbieco, parlava con voce rauca, profonda: v’era nella sua persona qualche cosa che suscitava istintivamente il ribrezzo.
Tale era l’uomo al quale era congiunta coi vincoli di matrimonio la bella principessa.
― Mio marito esclamò essa con un acuto grido di terrore, quando lo vide apparire sulla porta come bieco fantasma.
Egli si avanzỏ, lentamente in silenzio: mentre Curzio interdetto scostatosi d’un passo guardava il nuovo venuto.
Giunto vicino alla moglie, il principe Rizzi le disse in tuono severo: