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152 i processi di roma


— Non lascio altro che i miei abiti, ma non li fate portare a mia madre, perchè nel vederli proverebbe troppo tracollo; piuttosto fateli distribuire a dei poveri bisognosi.

L’orologio delle Carceri Nove suono lentamente le cinque ore. Non si travedeva ancora il primo chiarore del mattino. Era ancor notte, notte profonda.

S’intese nella strada uno scalpito di cavalli e il ruotare di due carrozze. I condannati rabbrividirono.

Erano i cavalli della scorta; erano le carrozze che dovevano condurli al patibolo.

In quel punto si aperse rumorosamente la porta della cappella. Monti e Tognetti credettero di veder comparire il carnefice. Era un prelato.

Monsignor Pagni, non astretto dalla sua carica, ma per spontanea volontà, era venuto, come membro della Sacra Consulta, ad assistere agli ultimi momenti dei condannati.

Pareva che uno spirito di odio segreto o di rappresaglia rabbiosa lo rendesse bramoso del loro sangue.

Il suo intervento in quell’ultimo stadio della condanna era cosa così odiosa, ch’egli pensò di coprirne l’efferatezza con un motivo plausibile. E perciò, atteggiato il volto all’espressione della benignità religiosa:

— Cari figliuoli disse rivolto ai condannati, ho una buona notizia da darvi. Sua Santità, il beatissimo Padre dei fedeli, mosso a pietà del vostro stato, e per darvi una prova del suo paterno amore, nonchè della sovrana clemenza, manda ad entrambi...

Il cuore dei due sventurati aveva cominciato a palpitare fino dalle prime parole del prelato: un vago presentimento pareva annunziar loro qualche cosa di fausto. Di mano in mano che progrediva il suo dire, l’ebbrezza della speranza rinfiammava rapidamente i loro cuori, e giunsero a tale, che prima ch’egli terminasse esclamarono ad una con tutto l’entusiasmo della letizia:

— La grazia!!

— Manda ad entrambi, proseguì imperturbabile il prelato, la sua apostolica benedizione, e in pari tempo l’indulgenza plenaria, la quale dopo la morte vi farà salire prontamente alle glorie sempiterne del cielo.

Quell’atroce derisione dell’ipocrisia sacerdotale strappò un grido di rabbia ai due condannati. E Tognetti, al quale l’amarezza della delusione fece ribollire il sangue.

― Sì! esclamò. Il Santo Padre ci vuol molto bene! Perchè arriviamo più presto in paradiso, manda il boja ad aprirci la porta.

Un gesuita corse a prenderlo per un braccio, e ad imporgli silenzio. L’altro s’impadronì di Monti. Poi l’uno e l’altro tenendo sotto il braccio ciascuno un paziente, preceduti e seguiti dai confratelli di San Giovanni