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recandosi da Firenze a Napoli per la via ferrata, sarebbero passati dalla stazione di Roma.

Nessun momento poteva essere più propizio di quello. Quando appunto i principi italiani si fermavano per qualche momento alla stazione di Roma, dovevano balzare le teste dei due condannati. Per tal modo i giovani principi, la dinastia di Savoja, la nazione italiana, il principio unificatore, ricevevano ad un punto l’impronta di un oltraggio feroce.

È noto come i principi fossero avvertiti a tempo di quanto meditava a loro scorno la Corte papale, e come, cambiando l’itinerario prescritto, evitassero studiosamente la cerchia di Roma e i confini papali.

Perduta anche quella occasione, e impazienti oramai dell’ultima strage, piuttosto che stanchi di martoriare le loro vittime, i preti governanti di Roma fissarono la morte di Monti e Tognetti pel giorno 24 novembre, giorno della riapertura del Parlamento italiano, per inviare quell’annunzio ferale, come saluto beffardo ai rappresentanti della nazione.

Dal giorno della condanna erano passati trentanove giorni! trentanove giorni che i condannati a morte consumarono ora per ora in dolorosa agonia! trentanove giorni, nei quali i loro parenti attesero mille e mille volte la grazia, per ripiombare mille e mille volte nella disperazione.


XXXVI

La vigilia dei condannati a morte.


L’orologio della Chiesa Nuova batteva le ore 11 pomeridiane del giorno. 23 novembre 1868, e le sentinelle degli zuavi appostate intorno alle Carceri Nove si davano di tratto in tratto la voce: All’erta, sentinella! quando all’imboccatura della strada Giulia, dalla parte di San Giovanni dei Fiorentini si avanzavano lentamente i confratelli di San Giovanni Decollato. È una compagnia composta di nobili e di ecclesiastici romani, che esercitano verso i condannati a morte l’ufficio di confortatori. Essi andavano alle Carceri Nove per cominciare le loro funzioni.

A Monti e Tognetti era conteso perfino il sollievo che poteva porger loro la natura, con un estremo riposo: dovevano passare le otto ore, che li separavano dal momento del supplizio, fra le nenie dei confortatori e le esortazioni dei preti.

Mentre i confortatori entravano per la porta del carcere e salivano sulle scale, il secondino Petronio, che doveva aprire le segrete dei condannati, e condurli nella cappella, aspettava l’arrivo della confraternita in quel camerone della prigione, dove l’abbiamo incontrato un’altra volta, e dove faceva fra sè e sè queste riflessioni: