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142 | i processi di roma |
a dominarlo esso rappresentava agli occhi del Papa tutta intera l’idra gesuitica nella sua immensità spaventosa.
Egli si scostò dal tavolo, e fe’ cenno al camerario di allontanare la supplicante. Il domestico disse a Lucia di seguirlo. Essa avrebbe voluto aggrapparsi disperatamente a quell’ultima speranza della grazia, ma sentiva mancarsi le forze. In quello sforzo supremo aveva esaurito ogni vigore, mandò un ultimo gemito di preghiera verso il Pontefice, e dove attaccarsi al braccio del camerario per uscire senza cadere.
Mentre Lucia si allontanava dalla stanza del Papa, vi entrava in sua vece il Padre Ferri.
Egli s’inginocchiò dinanzi al Pontefice, e cominciò:
— Santo Padre! È la beatissima Vergine concetta senza macchia, che mi ha ispirata l’idea di venire a trovarla. Vostra Santità sta per prendere una gravissima risoluzione, ed io che indegnamente fui assunto all’onore di dirigere la sua coscienza, mi sento in dovere di porgerle una parola di consiglio.
— Padre! Venite a parlarmi in qualità di mio confessore? disse il Papa.
— Santità sì.
— Alzatevi dunque, e parlate al servo dei servi di Dio.
Il gesuita si levò in piedi e parlò in tuono d’ispirazione profetica, mentre il Papa seduto sul seggiolone, ma curvo col tronco, e col capo in segno di reverenza, lo stava ascoltando.
— Voi, Padre beatissimo, in questo momento porgete l’orecchio alla voce della clemenza, bella virtù e degna veramente d’un re sacerdote! Ma quando la giustizia fa udire la sua parola, la clemenza deve cedere e tacere. Perfino l’Onnipotente chiuse l’orecchio alle voci della misericordia e non esitò a sacrificare il suo prediletto figliuolo per soddisfare alla giustizia. La giustizia è la base e il cardine d’ogni opera buona, e senza la giustizia le altre virtù non sono altro che ombre ed errori. Nubi gravide di tempeste stanno addensate nei cieli, il tuono rumoreggia nell’aere, le mine degli empj sono approntate sotto i nostri piedi, e non aspettano che la scintilla che mandi tutto in rovina. In chi troveremo soccorso, se mostriamo di amare i nostri nemici più degli stessi difensori, e se lascieremo inulte le ossa di coloro che sono morti per noi? Nè possiamo lusingarci di vincere colla mansuetudine i nostri nemici. Il demone dell’empietà li ha acciecati, e non anelano se non che distruzione e rovina. Il nostro perdono è l’arma di cui si sono valsi altra volta per ribellarsi, e cacciare lontano gli eletti del Signore. Con costoro la misericordia diventa empietà, e pietà il rigore.
Pio IX ascoltava tacendo; non rispose, non fiatò. Stese la mano sulla tavola, prese la carta che aveva scritta poco prima, e la lacerò.
Il gesuita comprese il suo trionfo e sorrise.