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monti e tognetti 127

orizzontarsi, poi proseguiva il cammino, Curzio si fermava con esso, e con esso riprendeva la strada.

Andavano e tacevano. Pareva inutile a Curzio il fare domande. O quell’uomo voleva salvarlo, ed egli non aveva che a seguirlo per ridursi a buon porto: od era un traditore, e in questo caso egli era ormai in sua balia, e non v’era possibile riparo. Unica via era quella di abbandonarsi alla sorte.

Quando furono pervenuti, dove la boscaglia si faceva più fitta, e l’acqua dilagava in palude, il guardiano si arresto, e mandò un fischio prolungato, al quale quasi subito fece risposta un fischio più acuto. Ed ecco sbucare da un cespuglio un uomo, e farsi incontro a quei due.

Curzio riconobbe la figura di Giano. Egli ignorava la parte di complicità che quell’uomo aveva avuto nel suo arresto, ma non poteva a meno di nutrire una certa diffidenza contro colui, che gli aveva promesso di condurlo a salvamento nella sera stessa in cui venne arrestato. E perciò quell’incontro gli mise nell’anima il sospetto, di cui diè segno indietreggiando d’alcuni passi.

— Non temete, disse allora Giano avanzandosi, io ho giurato alla signora principessa di liberarvi dalla prigione, e se l’altra volta non giunsi a trarvi a salvamento, spero questa volta coll’ajuto del Signore di riuscirvi.

Poi Giano fece un segno di convenzione al guardiano, che aveva condotto Curzio fino in quel luogo, e gli pose in mano del denaro che, l’altro guardò, e numerò ben bene prima di allontanarsi. Il giovane fuggitivo non era troppo rassicurato dal discorso di quell’uomo misterioso, ma egli si trovava in tale condizione, che gli era forza di seguire l’unica via che gli si era schiusa dinanzi.

Giano s’inoltrò nella boscaglia, facendo un cenno a Curzio, e questi gli tenne dietro.

Girarono a lungo in quel labirinto di macchioni e di paludi. Più s’inoltravano, e più si faceva forte nella mente di Curzio il sospetto del tradimento, e già meditava di abbandonare la sua guida, e qual si fosse il rischio, cacciarsi a caso nel bosco, fidandosi alla cieca fortuna: quando all’improvviso lo stesso Giano, che sopravanzava d’un buon tratto di strada il compagno spicca una rapida corsa, e in un baleno si perde nel più fitto della macchia, lasciando Curzio solo sopra il sentiero.

Allora ciò ch’era dubbio, diventa un’assoluta certezza. Giano era un traditore, che aveva procurata la sua evasione per condurlo a più sicura rovina.

Ma che fare in una situazione tanto pericolosa? Da che parte potea egli rivolgersi, così perduto in un bosco, all’avvicinarsi della notte, ignaro delle strade, stanco del cammino, senza cibo, senza denaro, e con quelle vesti da galeotto sul dosso?