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monti e tognetti | 121 |
Con queste facoltà naturali perfezionate da un lungo esercizio, esso era arrivato a un tal punto di percezione subitanea, che nulla, di quanto si diceva o si operava intorno a lui, gli sfuggiva. Coglieva a volo le frasi, vedeva colla coda dell’occhio, e a forza di raziocinii istantanei penetrava nell’intima ragione dei fatti.
Egli si accorse dunque delle parole che la principessa rivolse al cardinale Baldoni, quando essa lo pregò di accompagnarla nel gabinetto; e ne aveva indovinato istintivamente il motivo.
Quando poi vide la signora ritirarsi in compagnia del cardinale, e seguirli l’avvocato Leoni, non ebbe più dubbio sull’oggetto di quella conferenza, e passando più volte innanzi alla porta del gabinetto, vi ficcò dentro lo sguardo; vide l’avvocato parlare con calore, mentre la principessa era atteggiata alle preghiere, di più intese pronunziare il nome di Tognetti, e infine vide lo slancio con cui i due supplicanti avevano attestata la loro riconoscenza al cardinale.
Era ormai cosa evidente per il giudice processante. L’avvocato e la principessa avevano pregato l’eminentissimo Baldoni, perchè chiedesse al Papa la grazia dei due condannati a morte, ed esso aveva acconsentito. A’ suoi occhi era quella una specie di complotto, che metteva in pericolo il governo, la religione, e più ancora il compimento dell’edifizio processuale da lui con tanta fatica innalzato, e che doveva essere coronato con due capi recisi.
Quelle tre persone non erano ancora uscite dal gabinetto, che il cavaliere Marini, correndo a rompicollo giù per la scala della loggia, scendeva in giardino per dare avviso della sua scoperta al cardinale Rizzi. Questi inorridì alla sola idea che i due ribelli potessero andar salvi dalla morte, che un suo collega, una delle colonne di Santa Madre Chiesa, potesse proporne la grazia al Pontefice. Pensò che non v’era tempo da perdere per scongiurare un tanto pericolo. Ringraziò fervorosamente il giudice processante: e senza risalire nelle sale, fece venire la sua carrozza, e non ostante che fosse notte inoltrata comandò al cocchiere di condurlo al Gesù, celebre convento dei gesuiti romani.
XXIX
A Civita-Vecchia.
Curzio era stato rinchiuso nel maschio della fortezza: la sua celletta quadrata era posta nella sommità dell’edifizio; riceveva aria e luce da un finestrino sbarrato posto al di sopra della porta, la quale si apriva in una