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monti e tognetti | 115 |
mai raggiunta compiutamente, essa aveva crudelmente tradita quella buona, Maria, che aveva ricorso a lei, come al suo angelo tutelare. Per appagare il suo sentimento materno, aveva straziato il cuore di un’altra madre. Essa aveva fatto di più, aveva respinte le preghiere della povera donna, interdicendole l’accesso alla sua casa; aveva chiuse le orecchie per non udire i suoi lamenti, e le sue supplicazioni. Essa era stata non solo cattiva, ma ingrata e crudele.
Queste ed altre riflessioni tormentavano senza posa il cuore della principessa. Eppure essa dava una festa. Ohimè! vi era costretta.
Ogni anno in quel giorno si dava un ballo nel palazzo Rizzi. Era l’anniversario del giorno in cui il cardinale Rizzi, il fratello del principe, era stato rivestito della porpora cardinalizia, e quella solennità ecclesiastica veniva sempre ricordata con una festa profana.
In quel ballo adunque il cardinale era il re della festa, e riceveva gli omaggi delle più belle dame dell’aristocrazia romana, che v’intervenivano sempre.
Il cardinale Rizzi era un uomo di cinquantacinque anni, piuttosto grasso, la sua faccia era rotonda e schiacciata, vermiglia a macchie paonazze, e tempestata di bitorzoli; aveva i capelli rossi distesi sulla sommità della fronte e sopra le orecchie. In quella sera era vestito coll’abito da festa: sottana di porpora, coi guarnimenti d’armellino e il fermaglio di gioje, vestiario pomposo, che faceva risaltare la sua bruttezza ributtante, piuttosto che sminuirla.
Monsignor Pagni, vestito anch’esso col suo abito di gala, faceva una corte assidua a Sua Eminenza. Egli agognava al giorno in cui avrebbe anch’esso acquistata la dignità di principe della chiesa; sapeva che il cammino più rapido per arrivarvi è quello dell’adulazione e della servilità: e mormorava fra sè e sè questa giaculatoria: Abbassatevi per essere innalzati.
Il cardinale era seduto in luogo elevato nella gran sala da ballo, e tutte le signore che entravano col loro abbigliamento da veglia, colle spalle nude e il seno scoperto, andavano per la prima cosa a inchinarsi dinanzi a lui, e a baciare la mano morbida e liscia, ch’egli porgeva.
La principessa affranta, nel cuore, ma sorridente nel volto, come richiedeva la sua posizione, riceveva gli invitati, e faceva gli onori di casa con quella squisitezza di grazia, che è un privilegio delle nature più elevate.
Il principe suo marito fin dal principio della festa si era dileguato dalle sale. Un servo gli si era avvicinato, gli aveva mormorato qualche parola all’orecchio, ed esso si era prontamente ritratto nelle sue stanze.
Un uomo dall’aspetto volgare, dalle vesti grossolane lo aspettava, nel suo gabinetto era un’antica nostra conoscenza, era Giano.
Dalla sera dell’osteria, nella quale esso aveva servito così bene ai voleri