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monti e tognetti | 107 |
fra la spada della giustizia e il reo che deve esserne colpito. Non vi sfuggirà certo l’importanza di questa causa, che si identifica cogli interessi supremi del papato e della religione. Roma, la Chiesa, tutto il mondo cattolico hanno gli occhi su noi. Noi dobbiamo dire colla nostra sentenza se i settarj, che nell’anno decorso tentarono di rovesciare il trono del Sommo Pontefice, e furono fugati dall’ira dell’Onnipotente, erano uomini dabbene; se in quel modo essi agirono rettamente, secondo ragione e giustizia. Noi dovremo dire se tanti valorosi soldati, che vennero ad esporre la vita in difesa delle cose più sante, furono giustamente uccisi e massacrati con tanta barbarie. Dovremo dire, infine, se coloro che attentano alla sicurezza del trono e dell’altare; se i ribelli, gli assassini, i sicari, debbono andar impuniti oggi, per essere domani glorificati, per ricominciare più tardi la loro opera nefanda di strage e di distruzione. Ecco, o signori, che cosa il mondo aspetta di sapere dalla nostra sentenza. Invochiamo adunque il nome dell’Altissimo, perchè c’illumini e ci guidi nella pronunciazione del nostro voto.
Questo artificioso discorso pose un fiero dubbio nel cuore di quei prelati. Parlavano ancora nei loro petti le voci della pietà, e più di queste le norme inconcusse dell’onestà e del vero, quei sentimenti morali che non vengono mai distrutti del tutto nell’animo umano.
Questi sentimenti li avrebbero spinti ad assolvere dalla pena di morte due uomini non d’altro rei, che di avere virilmente combattuto in un campo opposto a quello dei loro giudici.
D’altra parte, i monsignori della Sacra Consulta riflettevano alle parole del presidente. Il Governo aspettava da loro una condanna severa: essi non potevano assolvere Monti e Tognetti senza condannare il Governo. L’assoluzione di que’ due inquisiti li rendeva moralmente loro complici; con quella assoluzione essi rinnegavano quel potere pel quale esistevano, rinnegavano tutto quanto il loro passato. La lotta era dunque assai fiera, e diverso ne fu il risultato; in alcuni cuori prevalse il consiglio più mite, in altri la crudele ragion di Stato; e se non fosse stato che alcuni di essi erano guidati da motivi personali, estranei al merito della causa, il maggior numero sarebbe stato di quelli che inchinavano alla clemenza, è la salvezza di Monti e Tognetti sarebbe stata pronunciata.
― Signor cancelliere, disse in mezzo al silenzio universale la voce lugubre del presidente: raccogliete i voti. Monsignori, chi si pronunzia per la pena di morte risponda sì, chi non vuole che quella pena sia applicata dirà no. Cominciamo.
― Voi, monsignore, disse poscia, volgendosi al giudice ch’era seduto alla estremità sinistra del banco. Giudicate che a Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti debba infliggersi la pena di morte?
Quello al quale il presidente volgeva la prima interrogazione, era un