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106 | i processi di roma |
bolo del vostro ministero, che è tutto di pace e di perdono? E vorrete voi comandare che sia sparso questo sangue, quando il divino Maestro comandò a Pietro di riporre la spada nel fodero? Io non aggiungo altro. Volgetevi a quella immagine, e da quella ricevete l’ispirazione, quando sarete per pronunziare la vostra sentenza.„
Il giovane pose fine al suo dire, interrotto dalle lagrime, che calde e copiose gli sgorgavano dal ciglio.
XXV.
La condanna.
Il presidente fe’ cenno di ritirarsi alle persone estranee alla deliberazione.
Il relatore, il procuratore del fisco, il difensore, s’incamminarono in silenzio; anche gli uscieri varcarono la soglia, e chiusero le porte.
I giudici rimasero soli col cancelliere, che doveva raccogliere e registrare i voti.
Cosa strana, che rende manifesto la incomprensibile mescolanza degli umani affetti!
Quei dodici prelati, giudici del Supremo Tribunale della Sacra Consulta, scelti fra quanto vi è di più freddo, inesorabile nella curia romana per giudicare le cause di Stato, avvezzi da lunga mano a dettare le sentenze di morte, sordi ad ogni sentimento di pietà o di misericordia, si erano recati al palazzo di Monte Citorio già informati di quanto si attendeva da loro, già conoscenti della causa, e decisi di attenersi in tutto alla relazione fiscale del processo, deliberati insomma di pronunciare la condanna di morte contro Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti. Ebbene, quell’eloquenza calda e sentita del giovane avvocato, quella espansione, quell’accento di verità, quelle lagrime sgorganti dal cuore, erano giunte a passare lo spesso involucro di insensibilità, onde avevano fasciato il petto; essi avevano sentito il contraccolpo di quella commozione: erano inteneriti.
Il presidente, ch’era in certa maniera responsabile del giudicato in faccia al Governo, volse intorno lo sguardo, e si accorse di quella disposizione degli animi.
Gli parve di leggere in quei volti pensosi, in quegli sguardi concentrati la salvezza degli inquisiti. Stette alquanto a guardarli in silenzio, poi disse:
— Monsignori avete intesa la relazione del processo, le conclusioni del fisco, e per ultimo le parole della difesa. Voi siete uomini di senno profondo e di provata esperienza. Non vi lascerete abbagliare per fermo dagli artifici di un eloquio studiato da chi ha la missione di interporsi