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96 | i processi di roma |
Un grande crocifisso pende dalla parete, e sott’esso sta un busto marmoreo di papa Pio IX.
Una gran tavola semicircolare, coperta da un drappo nero, è anteposta a dodici scanni pei giudici, fra i quali uno più elevato per il presidente. A diritta e a sinistra stanno altri scanni, pel procuratore fiscale, per monsignor relatore, pel difensore.
Dodici sono i giudici, compreso il presidente, e tutti prelati; tutti chiercuti, che giudicano della vita e della morte.
Per gli accusati non v’era posto; ch’essi non comparivano innanzi ai loro giudici, nè la loro voce si udiva nella sala del tribunale.
Il giudice processante Marini aveva fatta stampare e distribuire ai giudici la sua relazione del processo, la quale doveva servir di base alla sentenza; perchè i giudici non isvolgono mai le carte processuali, e si rimettono in tutto alla relazione del processante.
La relazione di Marini era riuscita un capo d’opera di perfidia e di astuzia. Nel compilarla egli si era mantenuto fedele al sistema, che gli vedemmo tenere nella istruzione del processo. Due fini principali gli erano stati imposti, e a questi aveva diretto tutto il suo lavoro. Egli doveva dimostrare queste due cose: che il movimento della insurrezione romana non fu opera dei cittadini di Roma, ma fu importato dal di fuori, e che gl’imputati non erano stati spinti nei loro atti dall’idea patriottica, ma sibbene da un vile interesse. Monti e Tognetti non solamente dovevano essere uccisi, dovevano anche essere infamati!
Tale fu la direzione che Marini diede alla sua relazione processuale, contorcendo i fatti e ravvolgendoli in ambagi cavillose.
Non tardò il processante a ricevere i rallegramenti dei monsignori della Sacra Consulta, e una ricompensa più gradita, che fu una croce dell’ordine Piano, che lo elevava al grado di cavaliere.
Tronfio dei novelli onori, e colla sua bella croce sul petto, Marini si aggirava nelle anticamere del Supremo Tribunale. Ad ogni monsignore che entrava, egli accorreva a baciare la mano, e ne riceveva una stretta, un sorriso, una benigna parola, che lo facevano andare in visibilio.
Quando fu la volta di monsignor Pagni, questi strinse la mano a Marini più a lungo degli altri, e:
— Bravo! gli disse. Bravo, signor cavaliere! Ho letta la vostra relazione e posso assicurarvi che è un bel lavoro. Ve ne faccio i miei rallegramenti.
— Sono troppo fortunato, se l’opera mia ha incontrato l’approvazione dell’eccellenza vostra reverendissima, rispose Marini con un inchino.
― Sì, la mia piena approvazione, riprese monsignore. Ed io farò in modo che il sovrano favore non si limiti alla croce che vedo brillare sul vostro petto.