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XXXVII. Che dirò poi del barbaro modo di ’far sillabare il cantore ne’ passi di agilità? Che dell’uso di scrivere tutti gli abbellimenti del canto? E questi non sono poi sempre i medesimi? Si fa cantare il basso come il soprano, ed il tenore come ’l contralto: ma ognun di questi non debbe forse avere una maniera di cauto tutta sua propria? Oltredichè un uso tale disimpegna i cantori dal far quello studio che dovrebbono, per apprendere un modo di cantare adatto alla propria voce e consentaneo all’anima, vale a dire, al proprio intimo modo di sentire. E non è questo lo stesso che voler sostituire pessime copie ad ottimi originali (18)?

XXXVIII. Che aggiugnerò circa l’abuso poco a poco introdotto d’ometter del tutto il recitativo parlante ne’ melodrammi serj? Forse tutti i personaggi trovami dal principio alla fine in istato di veempnte passione, onde l’orchestra abbia ad esser sempre in azione per esprimerne la forza? E non è inoltre necessario che agli uditori si conceda di tratto in tratto respirare, onde raccogliere nuove forze, e così poter gustare sino al fine lo spettacolo, anzi che opprimerli a mezzo il corso (19)?

XXXIX. E dove lascio gli strumenti? Non è forse oggidì il suono de’ medesimi affatto snaturato? I violini o stanno quasi nell’inazione o rendono un suono pizzicato o stridono con suoni acutissimi; i contrabassi, vinta l’inerzia della loro mole, fanno volate su e giù al par de’ violini medesimi; i suoni picchettati degli strumenti da fiato si assomigliano al chiocciar delle galline;