XV. Fa d'uopo pertanto riflettere che non si desidera già ritmo alcuno in una successione di oggetti , i quali o per sè stessi o per la loro naturale costituzione hanno della varietà, del cambiamento, e mantengono perciò viva la nostra attività . Noi non esigiamo ritmo in un discorso che ci occupa o unicamente per la narrazione, o per lo sviluppo delle idee. Non lo esigiamo allorquando alcuno ci racconta qualche avvenimento toccante di maniera che in esso scorgiamo una qualche cosa di nuovo capace di eccitare il nostro sentimento . Ci accade lo stesso nelle nostre familiari occupazioni . Fino a che la nostra operazione ci somministra un qualche nuovo oggetto, le nostre forze non hanno bisogno d’essere eccitate da cause estranee . Un pittore, per esempio, non darà un moto in cadenza al suo pennello: non ne ha egli bisogno: il nuovo oggetto che si presenta a* suoi occhi a ciascun tratto che forma, gli dà per sè solo una forza sufficiente per animarlo a continuare il suo lavoro . Ma colui che lima qualche cosa, o fa un’operazione la cui uniformità non è interrotta da nulla di nuovo, costui, come l’esperienza c’insegna, formerà ben presto de’ moti ritmici o cadenzali . Dunque non desideriamo noi naturalmente il ritmo, se non quando proviamo delle sensazioni costantemente uniformi . Ciò ci conduce a scuoprire il vero fondamento sul quale riposa l’effetto del ritmo. Ogni impressione e quindi ogni sensazione piacevole o disgustosa svanisce ben presto, se la causa che la produsse non è ripetuta. Il sentimento seguita a un dipresso le leggi del moto . La ripetizione