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non potremo non restar Convinti della viva energia della medesima (a) . Op. cit. T. 3, pag. 430 e 432.

(a) «Io non dubito punto di asserire che la musica de’ Greci operava que’ meravigliosi e quasi incredibili portenti, principalmente perché ella era una lingua cantata. Mi spiego: la musica loro non faceva che distinguerà, marcan meglio il tempo sillabico, le inflessioni connaturali e proprie della lingua loro, tanto più perfetta e musicale della moderna, perché lingua d’una nazione sensibilissima, e lingua ritmica che aveva il vantaggio di esprimere con più verità delle nostre tutte le tinte e le modificazioni del sentimento. Rese colla musica più evidenti la melodia e l’indole primitiva di questa lingua, ed essendo essa colla distinzione più espressa de’ tuoni ridotta a canto, e canto sempre analogo alla passione che il poeta aveva inteso di eccitare, doveva essa molcere gli orecchi e scuotere allo stesso tempo gli animi al sommo grado. Se per l'uomo v’è musica, questa è la musica della natura: quando, cioè, sono una sola cosa la lingua e la musica, il maestro e il poeta. In tale stato trovavansi i Greci, mentre noi siamo per lo più occupati diversamente dal poeta e dal maestro, e perciò condannati a sentire la stessa idea espressa per lo più in due diverse lingue nello stesso tempo. Cosi è: la musica greca era figlia non solo ma schiava della lingua: la nostra ne è la tiranna e la matrigna. È poi tanto vero che la lingua è la base e la madre del canto, che il Rinuccini risuscitò dietro questa teoria il recitativo de’ Greci, e Lulli prima di porre in musica i versi se li faceva declamare dal Chammele, come narra il Batteux, e notava que’ suoni e quelle inflessioni dell’attore, che poi rendeva cantabili coll’ajuto dell’arte.» Giuseppe Carpani: op. cit. p. 195 e 196.