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Ciascun mangiava all’ombra dilettevole
Or latte e ghiande, ed or ginepri e morole.
O dolce tempo, o vita sollazzevole!
Pensando all’opre lor, non solo onorole
Con le parole; ancor con la memoria
Chinato a terra come sante adorole.
Ov’è il valore, ov’è l’antica gloria?
U’ son or quelle genti? oimè son cenere,
Delle quai grida ogni famosa istoria.
I lieti amanti, e le fanciulle tenere
Givan di prato in prato rammentandosi
Il foco e l’arco del figiuol di Venere.
Non era gelosia, ma sollazzandosi
Movean i dolci balli a suon di cetera,
E ’n guisa di colombi ognor baciandosi.
O pura fede, o dolce usanza vetera!
Or conosco ben io che ’l mondo instabile
Tanto peggiora più, quanto più invetera.
Tal che ogni volta, o dolce amico affabile,
Ch’io vi ripenso, sento il cor dividere
Di piaga avvelenata ed incurabile.
Serrano.
Deh, per Dio, non mel dir, deh non mi uccidere:
Che s’io mostrassi quel ch’ho dentro l’anima,
Farei con le sue selve i monti stridere.
Tacer vorrei; ma il gran dolor m’inanima
Ch’ io tel pur dica: or sai tu quel Lacinio?
Oimè, ch’a nominarlo il cor si esanima.
Quel che la notte veglia, e ’l gallicinio
Gli è primo sonno, e tutti Cacco il chiamano,
Perocchè vive sol di latrocinio.
Opico.
Oh oh, quel Cacco! o quanti Cacchi bramano
Per questo bosco! ancor che i saggi dicano,
Che per un falso mille buon s’infamano.