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Da terra i primi rami, ed addestravami
Con l’asinel portando il grano a frangere;
Il vecchio padre mio che tanto amavami,
Sovente all’ombra degli opachi suberi
Con amiche parole a se chiamavami:
E, come fassi a quei che sono impuberi,
Il gregge m’insegnava di conducere,
E di tosar le lane, e munger gli uberi.
Tal volta nel parlar soleva inducere
I tempi antichi, quando i buoi parlavano,
Che ’l ciel più grazie allor solea producere.
Allor i sommi Dii non si sdegnavano
Menar le pecorelle in selva a pascere;
E, com’or noi facemo, essi cantavano.
Non si potea l’un uom ver l’altro irascere:
I campi eran comuni, e senza termini;
E Copia i frutti suoi sempre fea nascere.
Non era ferro, il qual par ch’oggi termini
L’umana vita; e non eran zizzanie,
Oud’avvien ch’ogni guerra e mal si germini.
Non si vedean queste rabbiose insanie;
Le genti litigar non si sentivano,
Per che convien che ’l mondo or si dilanie.
I vecchi quando alfin più non uscivano
Per boschi, o si prendean la morte intrepidi,
O con erbe incantate ingiovanivano.
Non foschi o freddi, ma lucenti e tepidi
Erano i giorni; e non s’udivan ulule,
Ma vaghi uccelli dilettosi e lepidi.
La terra che dal fondo par che pulule
Atri aconiti, e piante aspre e mortifere,
Ond’oggi avvien che ciascun pianga ed ulule;
Era allor piena d’erbe salutifere,
E di balsamo e ’ncenso lacrimevole,
Di mirre preziose ed odorifere.