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E disse a me: Serran, vedi ch’io dubito,
Che tue capre sian tutte; ond’io per correre
Ne caddi sì, ch’ancor mi dole il cubito.
Deh se qui fosse alcuno a cui ricorrere
Per giustizia potessi! or che giustizia?
Sol Dio sel veda che ne può soccorrere.
Due capre e duo capretti per malizia
Quel ladro traditor dal gregge tolsemi;
Sì signoreggia al mondo l’avarizia.
Io gliel direi; ma chi mel disse volsemi
Legar per giuramento; ond’esser mutolo
Convienimi: e pensa tu, se questo duolsemi.
Del furto si vantò poi ch’ebbe avutolo;
Che sputando tre volte fu invisibile
Agli occhi nostri; ond’io saggio riputolo.
Che se ’l vedea, di certo era impossibile
Uscir vivo da’ cani irati e calidi,
Ove non val che l’uom richiami o sibile.
Erbe e pietre mostrose e sughi palidi,
Ossa di morti, e di sepolcri polvere,
Magici versi assai possenti e validi
Portava indosso, che ’l facean risolvere
In vento in acqua in picciol rubo o felice;
Tanto si può per arte il mondo involvere.

Opico.

Quest’è Protéo, che di cipresso in elice,
E di serpente in tigre trasformavasi,
E feasi or bove or capra or fiume or selice.

Serrano.

Or vedi, Opico mio, se ’l mondo aggravasi
Di male in peggio; e deiti pur compiangere
Pensando al tempo buon che ognor depravasi.

Opico.

Quand’io appena incominciava a tangere