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EGLOGA SESTA.

serrano ed opico.


Serrano.

Quantunque, Opico mio, sii vecchio e carico
Di senno e di pensier che ’n te si covano,
Deh piangi or meco, e prendi il mio rammarico.
Nel mondo oggi gli amici non si trovano:
La fede è morta, e regnano le ’nvidie;
E i mai costumi ognor più si rinnovano.
Regnan le voglie prave e le perfidie
Per la roba mal nata che gli stimula,
Tal che ’l figliuolo al padre par che insidie.
Tal ride del mio ben, che ’l riso simula;
Tal piange del mio mal, che poi mi lacera
Dietro le spalle con acuta limula.

Opico.

L’invidia, figliuol mio, se stessa macera,
E si dilegua come agnel per fascino,
Che non gli giova ombra di pino o d’acera.

Serrano.

II pur dirò, così gli Dii mi lascino
Veder vendetta di chi tanto affondami,
Prima che i mietitor le biade affascino:
E per l’ira sfogar ch’al core abbondami,
Così ’l veggia cader d’un olmo, e frangasi,
Tal ch’io di gioja e di pietà confondami.
Tu sai la via che per le piogge affangasi:
Ivi s’ascose, quando a casa andavamo,
Quel che tal viva, che lui stesso piangasi.
Nessun vi riguardò perchè cantavamo;
Ma innanzi cena venne un pastor subito
Al nostro albergo quando al foco stavamo,