oltra a duo milia passi andati fummo, che al capo
d’un fiume chiamato Erimanto pervenimmo;
il quale da piè d’un monte per una rottura
di pietra viva con un rumore grandissimo
e spaventevole, e con certi bollori di bianche
schiume si caccia fore nel piauo, e per quello
trascorrendo, col suo mormorio va fatigando
le vicine selve: la qual cosa di lontano a chi
solo vi andasse, porgerebbe di prima intrata
paura inestimabile: e certo non senza cagione;
conciossiacosachè per comune opinione de’ circunstanti
popoli si tiene quasi per certo, che
in quel luogo abitino le Ninfe del paese, le
quali per porre spavento agli animi di coloro,
che approssimare vi si volessero, facciano quel
suono così strano ad udire. Noi, perchè stando
a tale strepito non avriamo potuto nè di parlare,
nè di cantare prendere diletto, cominciammo
pian piano a poggiare il non aspro
monte, nel quale erano forse mille tra cipressi
e pini sì grandi, e sì spaziosi, che ognun per
se avrebbe quasi bastato ad ombrare una selva:
e poi che fummo alla più alta parte di
quello arrivati, essendo il sole di poco alzato,
ne ponemmo confusamente sovra la verde erba
a sedere; ma le pecore, e le capre, che più
di pascere, che di riposarsi erano vaghe, cominciarono
ad andarsi appicciando per luoghi
inaccessibili ed ardui del selvatico monte, quale
pascendo un rubo, quale un arboscello, che
allora tenero spuntava dalla terra: alcuna si alzava
per prendere un ramo di salce; altra andava
rodendo le tenere cime di querciuole, e
di cerretti; molte bevendo per le chiare fontane,
si rallegravano di vedersi specchiate dentro