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tempo gli pare, quantunque tardi sia, se ne ritorna alla usata casa, ove trovando me, che sollicitissimo lo aspetto, non si può veder sazio di lusingarmi, saltando, e facendomi mille giuochi d’intorno. Ma quel, che di lui più che altro mi aggrada, è che conosce ed ama sopra tutte le cose la sua donna, e pazientissimo sostiene di farsi porre il capestro, e di essere tocco dalle sue mani; anzi di sua volontà le para il mansueto collo al giogo, e tal fiala gli omeri all’imbasto; e contento di essere cavalcato da lei, la porta umilissimo per li lati campi senza lesione, o pur timore di pericolo alcuno: e quel monile, che ora gli vedi di marine conchiglie con quel dente di cinghiale, che a guisa di una bianca luna dinanzi al petto gli pende, ella per mio amore gliel pose, ed in mio nome gliel fa portare. Dunque questo non vi porrò io; ma il mio peguo sarà tale, che tu stesso, quando il vedrai, il giudicherai non che bastevole, ma maggiore del tuo. Primieramente io ti dipongo un capro, vario di pelo, di corpo grande, barbuto, armato di quattro corna, ed usato di vincere spessissime volte nell’urtare; il quale senza pastore basterebbe solo a couducere una mandra, quantunque grande fosse: oltra di ciò un nappo nuovo di faggio con due orecchie bellissime del medesimo legno, il quale da ingegnoso artefice lavorato tiene nel suo mezzo dipinto il rubicondo Priapo, che stretlissimamente abbraccia una Ninfa, ed a mal grado di lei la vuol baciare: onde quella d’ira accesa, torcendo il volto indietro, con tutte sue forze intende a svilupparsi da lui, e con la manca mano gli squar-