falce spogliate le sacre selve de’ rami ombrosi,
per sovvenire alle famulente pecorelle, ovvero
se quelle per ignoranza avessero violate le erbe
de’ quieti sepolcri, o turbati con li piedi i vivi
fonti, corrompendo delle acque la solita
chiarezza. Tu, Dea pietosissima, appaga per
loro le Deità offese, dilungando sempre morbi
ed infermità dai semplici greggi, e dai maestri
di quelli: nè consentire, che gli occhi nostri
non degni veggiano mai per le selve le vendicatrici
Ninfe, nè la ignuda Diana bagnarsi pelle
fredde acque, nè di mezzo giorno il silvestre
Fauno, quando da caccia tornando stanco,
irato sotto ardente sole trascorre per li lati
campi. Discaccia dalle nostre mandre ogni magica
bestemmia, e ogn’incanto, che nocevole
sia: guarda i teneri agnelli dal fascino de’ malvagi
occhi degl’invidiosi: conserva la sollicita
turba degli animosi cani, sicurissimo sussidio
ed aita delle timide pecore, acciocchè il numero
delle nostre torme per nessuna stagione si
sceme, nè si truove minore la sera al ritornare,
che ’l mattino all’uscire; nè mai alcun de’
nostri pastori si veggia piangendo riportarne all’albergo
la sanguinosa pelle appena tolta al rapace
lupo. Sia lontana da noi la iniqua fame,
e sempre erbe, e frondi, ed acque chiarissime
da bere, e da lavarle ne soverchino; e d’ogni
tempo si veggiano di latte e di prole abbondevoli,
e di bianche e mollissime lane copiose,
onde i pastori ricevano con gran letizia dilettevole
guadagnuo. E questo quattro volte detto,
ed altre tante per noi tacitamente mormorato,
ciascun per purgarsi lavatosi con acqua di vivo
fiume le mani, indi di paglia accesi grandissi-