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le altre si erano per paura gittate dentro un fiume, e per quello fuggivano notando, e le chiare onde poco o nieule lor nascondevano delle bianche carni. Ma poi che si vedevano campate dal pericolo, stavano assise dall’altra ripa affannate e anelanti, asciugandosi i bagnati capelli, e quindi con gesti, e con parole pareva che increpare volessero coloro, che giungere non le avevano potuto. Ed in un de’ lati vi era Apollo biondissimo, il quale appoggiato ad un bastone di salvatica oliva guardava gli armenti di Admeto alla riva d’un fiume; e per attentamente mirare due forti tori, che con le corna si urtavano, non si avvedea del sagace Mercurio, che in abito pastorale con una pelle di capra appiccata sotto al sinistro omero gli furava le vacche. Ed in quel medesimo spazio stava Batto palesatore del furto, trasformato in sasso, tenendo il dito disteso in gesto di dimostrante. E poco più basso si vedeva pur Mercurio, che sedendo ad una gran pietra con gonfiate guancie sonava una sampogna, e con gli occhi torti mirava una bianca vitella, che vicina gli stava, e con ogni astuzia s’ingegnava d’ingannare l’occhiuto Argo. Dall’altra parte giaceva a piè d’un altissimo cerro un pastore addormentato in mezzo delle sue capre, ed un cane gli stava odorando la tasca, che sotto la testa tenea; il quale, perocchè la Luna con lieto occhio il mirava, stimai che Endimione fosse. Appresso di costui era Paris, che con la falce avea cominciato a scrivere Elione alla corteccia di un olmo, e per giudicare le ignude Dee, che dinanzi gli stavano, non la avea potuto ancora del tutto fornire. Ma quel, che